Cultura / Lavoro

Italia, denatalità is the new pandemia

10
Maggio 2023
Di Gaia De Scalzi

Denatalità is the new pandemia, almeno in Italia. La fotografia scattata pochi mesi fa dall’ISTAT parla chiaro: solo 7 neonati ogni 1000 abitanti. E a chiedersi il perché ci ha pensato Save The Children, attraverso l’ottavo rapporto “Le equilibriste: la maternità in Italia”. Fresco di stampa, al centro del decrescente tasso di nascita, lo studio – a cura di Alessandra Minello e Maddalena Cannito – identifica diverse cause, prima fra tutte quella economica che rende difficoltosa la pianificazione di genitorialità. Gli strascichi del Covid, infatti, si confermano uno dei propulsori del calo delle nascite (e dell’aumento della mortalità!). Un calo neppure compensato dall’aumento dell’immigrazione come qualcuno ha auspicato. La cosa che sorprende è che oggi – per la prima volta – l’abbassamento si manifesta con una minor presenza di primogeniti.

L’altra grande causa di questa contrazione concerne la fertilità femminile. In Italia le donne decidono di diventare madri sempre più tardi. L’età media al parto arriva intorno ai 32,4 anni. Dal 2021, inoltre, l’età al primo figlio si è spostata di tre anni rispetto al 1995, posizionandosi ora a 31,6 anni. Anche se, diciamocelo senza timore, nel nostro Paese le primipare over 40 sono tantissime (circa il 9% nel 2019). E che la fertilità di una donna subisca un primo calo già intorno ai 30 anni è un’altra cosa che va detta senza timore.

La soluzione sembrerebbe quindi a portata di mano: ossia fare i figli prima. Ma questa casella ci riporta alla causa economica senza passare dal via perché, diversamente da altri Paesi europei, in Italia lo studio spesso non si accompagna all’ingresso nel mercato del lavoro e di conseguenza all’uscita dal tetto genitoriale. Per non parlare poi del costo delle abitazioni, al centro della polemica studentesca di queste settimane. D’altro canto se lo stipendio medio mensile si attesta intorno ai 1.300 euro, pagarne mille di affitto ogni 30 giorni per un monolocale è impresa assai ardua.

Se poi analizziamo nello specifico il ruolo della donna nella vita di tutti i giorni, di freni alla maternità ne emergono molti altri. Come, ad esempio, il legame tra bassa fecondità e divisione dei carichi di cura, che vede troppo spesso la donna in prima linea. O come episodi di depressione post partum o di violenza ostetrica, deterrenti nella transizione al secondo figlio. Quello che, invece, sappiamo benissimo essere “il problema dei problemi” riguarda il legame tra lavoro e fecondità delle coppie. Non a caso, lì dove le donne lavorano di più, nascono più bambini. Contrariamente agli anni Ottanta, oggi si fanno più figli quando entrambi i genitori hanno una posizione stabile. Eppure, in Italia, la partecipazione femminile al mercato del lavoro è ancora molto esigua (spesso in forma precaria o stagionale), così come mal pagata. Il gap salariale ancora oggi si fa sentire in modo troppo prepotente. Basti pensare che – a parità di titolo di studio e incarico ricoperto – una donna guadagna ancora il 19-16% in meno di un collega uomo. Insomma, tra segregazione orizzontale, figlia dei più beceri stereotipi di genere, e segregazione verticale, che vede 1 donna su 5 ricoprire posizioni apicali, i passi da compiere sono molti. Così come molte sono le politiche di assistenza alla genitorialità e alla maternità che domani ci aspettiamo vengano proposte in occasione degli Stati Generali della Natalità, affinché nessuna mamma debba più scegliere tra carriera e figli.

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