Lavoro

Smart working, Intervista a Laura Di Raimondo: “Fondamentale la fiducia nel lavoratore”

13
Ottobre 2020
Di Redazione

Laura Di Raimondo è Direttore Generale Asstel-Assotelecomunicazioni, l'Associazione che accoglie 53 aziende per oltre 120mila addetti e rappresenta la filiera TLC all’interno di Confindustria. Temi affrontati nell'intervista: il modo di cambiare l’approccio al mondo del lavoro, la prontezza della Filiera TLC nel favorire il lavoro agile e quali best practice possono essere prese a modello dal forzato lockdown dovuto al Covid-19.

 

Facciamo chiarezza: che differenza c'è tra remote working e smart working?

Lo smart working è qualcosa di più rispetto a quanto vissuto durante l’emergenza sanitaria. Presuppone un profondo cambiamento culturale delle persone e un nuovo senso di imprenditorialità. Un processo che vede una sintonia tra digitalizzazione e un nuovo stile manageriale che non si basa più sul controllo, ma sulla fiducia, distribuendo in modo ancora più orizzontale la responsabilità e quindi il merito sui risultati. Si tratta di un ribaltamento dei vecchi schemi lavorativi che sostituisce il controllo dei pochi, riconsegnando alla libertà dell’individuo dove e come lavorare per il raggiungimento degli obiettivi. Certo è che il lockdown, che ci ha visti protagonisti di un vero remote working, ha accelerato notevolmente la trasformazione del lavoro anche per attività come quelle del Customer Care che (per ragioni tecniche e organizzative) erano state meno interessate nella prima fase di sperimentazioni.

Dico che lo smart working è qualcosa di più perché non può limitarsi solamente alla mera dotazione di supporti tecnologici (consegnare un pc/tablet e attivare una connessione), ma è un nuovo paradigma del lavoro che appartiene a pieno titolo alla trasformazione digitale delle imprese e del lavoro. Vengono superati i concetti propri del mondo analogico, che vedevano il tempo e lo spazio le uniche unità di misurazione delle prestazioni.

La fiducia nelle relazioni tra colleghi, responsabili e collaboratori ridisegna infatti, un nuovo rapporto con cui l’organizzazione si pone nei confronti dei suoi lavoratori e implica un salto di competenze per tutti. Sarà così possibile governare il cambiamento e non subirlo, promuovendo lo spirito di libertà e insieme di responsabilità tipici del vero smart working.

 

La Filiera TLC ha reagito prontamente remotizzando sin da subito i propri lavoratori, sottoscrivendo nel mese di luglio un Protocollo che disciplina il nuovo lavoro agile. Può spiegarci meglio? 

Siamo dentro la rivoluzione del lavoro e la Filiera delle Telecomunicazioni in pochi giorni ha saputo rispondere prontamente, mettendo in sicurezza ben oltre 80 mila lavoratori. Ciò è stato possibile grazie alla matura e solida consapevolezza della cultura digitale propria delle TLC. Molte nostre imprese, infatti, da anni adottano lo smart working, con ottimi risultati sia in termini di produttività, sia in termini di benessere dei lavoratori.

Proprio a partire da questa consolidata esperienza, Asstel, Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil hanno sottoscritto il 30 luglio 2020 il Protocollo che contiene i Principi e le Linee Guida per il nuovo lavoro agile nella Filiera delle Telecomunicazioni. Si tratta di una contrattazione di settore che dà cornice di regolamentazione, lasciando la possibilità poi alle singole realtà di definire il proprio “vestito tagliato su misura”.

Tre sono i principi individuati: la tutela della salute delle persone, la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro e la flessibilità organizzativa con la valorizzazione della produttività. In questo schema le aziende possono organizzare la nuova normalità, che sarà ibrida tra virtuale e fisico, lasciando spazio alle scelte delle persone e delle aziende. Nell’accordo, tra le altre cose, vengono disciplinati anche il diritto alla disconnessione, la formazione continua, il welfare e i diritti sindacali. Diritti che dovranno trovare una nuova configurazione all’interno del nuovo schema di lavoro.

 

Parliamo di scenari: i mesi di lavoro da remoto sono stati anche l’occasione, per i più, per sperimentare una nuova modalità di organizzazione; abbiamo scoperto le potenzialità del South-working: quali sono le prospettive?

Dalla fine del lockdown, abbiamo tutti lavorato sinergicamente per costruire una nuova normalità, che non rappresenta un “ritorno al passato”, ma un tentativo volto a valorizzare l’esperienza dell’home working e trasformarla da necessità a risorsa puntando a realizzare il vero smart working. Sta prendendo forma una nuova geografia del lavoro e questo richiede che siano ridisegnate le città, gli uffici e anche le nostre case.

È sempre più attuale il dibattito sulle opportunità offerte dal cosiddetto South-working che fa del lavoro agile uno strumento utile a ridurre il divario economico, sociale e territoriale nel Paese e che ridisegna un nuovo modello di “qualità della vita”.

Si tratta di un nuovo approccio che coinvolge le nostre città e aiuta le zone più periferiche e con minore concentrazione di ricchezza a rimettersi in carreggiata. Adottare strutturalmente il lavoro “intelligente”, permetterebbe ai lavoratori di poter scegliere dove abitare, spostandosi anche in aree del Paese con un minor costo della vita. Questo inciderebbe sulla riduzione dell’inquinamento, sulla congestione delle strade e sul tempo passato nel traffico. Una riqualificazione e riscoperta dei piccoli borghi per riuscire a bilanciare in modo migliore vita lavorativa e tempo libero, affetti e sostenibilità ambientale.

La pandemia ha, infatti, inciso profondamente sulla territorialità del lavoro, facendo riscoprire l’importanza di un nuovo modello abitativo e produttivo che permette di riscoprire i borghi e rivalutare le zone rurali, processo che il ricorso a tecnologie come il 5G non può che favorire.

Ripartire dai borghi è anche l’occasione per superare definitivamente il digital divide e completare la digitalizzazione del nostro Paese, soprattutto nelle aree più remote. È una risposta nuova, concreta e sostenibile che risponde al decennale processo di desertificazione delle periferie, per decongestionare e progressivamente dare nuovo respiro alle aree urbane.

 

Quale insegnamento da questi mesi di emergenza vissuta?

L’emergenza sanitaria ci ha insegnato che le reti sono essenziali per svolgere la nostra quotidianità sia lavorativa, sia familiare. Ma il nostro Paese, in materia di digitalizzazione, è ancora in ritardo. Oggi più che mai è necessario accelerare il potenziamento delle infrastrutture digitali per promuovere la connettività nei territori, da Nord a Sud dell’Italia, con l’obiettivo di integrare anche le piccole realtà territoriali e renderle maggiormente competitive.

Non è sufficiente aver preso coscienza delle grandi opportunità che il digitale ci offre. Dobbiamo avviare una profonda riflessione per ridisegnare i nostri spazi di vita, il nostro lavoro e le scelte politiche che un Paese deve compiere.

Il trauma che stiamo vivendo, ci ha permesso di capire che l’interazione con i nostri simili è possibile attraverso le piattaforme digitali. Non più invisibili dietro i monitor dei loro computer, i manager sono diventati umani e hanno condiviso la propria fragilità personale.

Oggi, come in futuro, il nostro contatto resta mediato da piattaforme digitali perché i marcatori somatici creano associazioni e collegano la malattia agli incontri sociali e al grande senso di paura e incertezza che ha sconvolto il mondo. Di conseguenza, gli stili di vita e di lavoro che avevamo fino a poco fa oggi ci spaventano e ci fanno sentire in pericolo.

Per avviare un’accelerazione alle nostre vite abbiamo capito che non bastano le buone intenzioni e la predisposizione al cambiamento. Abbiamo necessità di costruire competenze e infrastrutture digitali per stare al passo con i tempi che il cambiamento tecnologico ci impone. Come Paese, abbiamo preso coscienza che si sono aperti spazi di opportunità. È in questo frangente che la nostra necessità di resilienza dovrà coniugarsi allo sviluppo di innovazione e creatività.

Imparare a imparare, ma anche di imparare a disimparare”. Mi piace così definire l’epoca che stiamo vivendo, all’insegna del continuo apprendimento e dell’aggiornamento delle competenze, soprattutto digitali. È essenziale investire nella formazione e renderla adeguata e personalizzata alle sfide richieste. Un investimento dedicato, non solo ai lavoratori già in forza, ma soprattutto alle nuove generazioni che si stanno avvicinando al nuovo mercato del lavoro. Dire no alla trasformazione digitale e in particolare nello sviluppo delle tecnologie di ultima generazione, vuol dire scegliere di restare indietro.

In tutto questo discorso non può mancare l’implementazione di reti mobili ad alta velocità, base per ottenere benefici in termini di efficienza a livello sociale e produttivo. Solo attraverso infrastrutture veloci, efficienti e capillari – penso al 5G e ai numerosi benefici in tema di sanità, mobilità e istruzione (per citarne solo alcuni) – daremo impulso alla crescita del PIL e al benessere sociale del nostro Paese.

 

 

Paolo Bozzacchi

 

 

Photo Credits: Wired

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