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Ucraina: punto, intrecci tra spionaggio e diplomazia, armi e sanzioni
Di Giampiero Gramaglia
La guerra in Ucraina si allarga: non il fronte degli scontri, che è quasi fermo, ma il numero dei Paesi che vi partecipano fornendo armi ai belligeranti. La Corea del Sud dice di volere dare all’Ucraina aiuti militari. Mosca replica con le minacce del ‘falco in capo’ Dmitry Medvedev: “Forniremo armi ai nostri partner della Corea del Nord”. Gli Usa varano un altro pacchetto, il 36°, di sostegno a Kiev e, intanto, arrivano sistemi di difesa aerea avanzati, i missili Patriot e un sistema tedesco.
Che sia la Pasqua cattolica, che sia la Pasqua ortodossa, le cronache di guerra dall’Ucraina portano l’eco di morte delle esplosioni, non quella di speranza delle campane. Martedì 18, bombe russe sono cadute sul mercato di Kherson, dopo che il presidente russo Vladimir Putin aveva visitato – non è però chiaro quando – il quartier generale russo situato sulla riva sinistra del fiume Dnipro.
Pure il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è stato al fronte nei giorni scorsi, ad Avdiivka, uno dei punti più caldi con Bakhmut, dov’è battaglia continua: i mercenari del Gruppo Wagner affermano di avere conquistato altri due quartieri della città in macerie. Gli 007 britannici pensano che le truppe ucraine si stiano ritirando, ma Kiev e i Wagner smentiscono.
Zelensky e il premier britannico Rishi Sunak chiedono che i Paesi della Nato intensifichino e accelerino l’invio di armi all’Ucraina. Londra insiste sulla “guerra lunga”, un mantra dell’Occidente da un anno in qua. Una guerra che, a giudizio di diversi osservatori, la Russia ha già perso: sul fronte delle operazioni, perché non ha raggiunto i suoi obiettivi territoriali; e sul fronte interno, perché il conflitto sta determinando un’involuzione della società, paranoide e nazionalista.
Putin non intende deflettere dall’opzione militare, ma insuccessi e disfatte ne avrebbero ormai intaccato l’autorità nel gotha russo: l’analisi è dell’intelligence statunitense, che però – come vedremo – mostra falle e pecche, in questa fase. A Mosca, si teme che l’invasione dell’Ucraina sfoci in una fase di dispute interne e di isolamento internazionale.
Attualmente, la Russia controlla il 17% circa del territorio ucraino, meno di un sesto – un anno fa, ne occupava di più -. Dati dall’Istituto per lo Studio della Guerra citati dal Washington Post mostrano che, dopo l’iniziale avanzata, le forze russe non hanno mai preso in una settimana più di mille kmq.
Ma Mosca non rinuncia a piani per scontri globali. La Bbc cita un’inchiesta delle radio pubbliche dei Paesi Nordici, secondo cui la Russia ha mobilitato una flotta di navi spia nel Mare del Nord: obiettivo, sabotare parchi eolici e cavi di comunicazione in caso di guerra con l’Alleanza atlantica.
Il conflitto impania la diplomazia internazionale, malgrado l’attivismo della Cina. Usa e Ue faticano a prendere atto che Pechino è ormai protagonista inevitabile sulla scena mondiale, politica ed economica, diplomatica e militare; e che tali pretendono di essere, nella sua scia, l’India di Modi, ormai divenuto il Paese più popoloso al mondo, che ha la presidenza di turno del G20; il Brasile di Lula, che a Pechino formula critiche agli Usa (“Non vogliono la pace”), in sintonia con il presidente cinese Xi Jinping; e il Sudafrica, che rifiuta la linea di Washington – sanzioni alla Russia e armi all’Ucraina -.
I ministri degli Esteri del G7, riuniti in Giappone, sventolano ‘cartellini gialli’ – retorici e sterili – alla Cina per “la crescente minaccia” alla sicurezza di Taiwan ed alla Corea del Nord, che ha ripetutamente testato missili a lunga gittata; e ribadiscono la volontà di rafforzare il sostegno all’Ucraina e di colpire la Russia con ulteriori sanzioni. Contestualmente – ed è quasi un paradosso – il ministro della Difesa cinese Li Shangfu si rallegra con Putin che “promuove la pace nel mondo”, parlando domenica 16 al Cremlino al collega russo Sergei Shoigu.
In viaggio nell’America latina ‘amica’, tra Brasile e Venezuela, Cuba e Nicaragua, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov afferma: “Risolveremo la situazione in Ucraina e altre crisi nel mondo tramite i principi della Carta dell’Onu sulla sovranità degli Stati e l’indivisibilità della sicurezza … Vogliamo garantire che la Carta sia applicata integralmente e che il diritto all’autodeterminazione non sia soppresso quando fa comodo all’Occidente…”. Lavrov progetta un incontro con il segretario delle generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres – ad aprile, la Russia ha la presidenza di turno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu -.
Tanti fronti per un unico conflitto: spie e hacker, oppositori e contestatori
Il conflitto ha molti fronti, oltre a quelli militari e diplomatici. Martedì 18, il tribunale di Mosca ha rigettato il ricorso del giornalista americano del Wall Street Journal Evan Gershkovich contro l’arresto per spionaggio. Si creano i presupposti per uno scambio di detenuti ‘di pregio’ tra Russia e Usa, mentre Mosca e Kiev si restituiscono a vicenda, quasi ogni settimana, oltre cento prigionieri. Gershkovich respinge le accuse: il suo governo ne considera la reclusione “illegale”.
In Russia, con la riforma della Duma, l’alto tradimento d’ora in poi sarà punito con l’ergastolo: sono avviate oltre 5 mila cause per discredito delle forze armate. Un tribunale ha condannato l’oppositore Vladimir Kara-Murza a 25 anni di detenzione, la pena più aspra finora comminata per critiche all’ ‘operazione militare speciale’. Kara-Murza, giudicato colpevole di tradimento per la condanna dell’invasione dell’Ucraina, contesta le accuse in quanto “infondate, illegali e politicamente motivate”. L’oppositore, che scriveva commenti sul Washington Post, avrebbe collaborato con Usa e Occidente per elaborare sanzioni contro oligarchi e uomini di potere.
La notizia della condanna di Kara-Murza s’intreccia con quelle allarmanti sullo stato di salute del principale contestatore del Cremlino, Alexei Navalny, che, secondo fonti a lui vicine citate dai media occidentali, sarebbe stato avvelenato in carcere e avrebbe avuto un crollo fisico.
Ma il fronte interno più spinoso per Putin è – probabilmente – quello delle frizioni con il capo dei Wagner Yevgeny Prigozhin, secondo cui “l’ideale sarebbe annunciare la fine del conflitto e fare sapere a tutti che la Russia ha raggiunto i risultati desiderati”. Non è chiaro che cosa voglia Prigozhin: forse si prepara a sfruttare un eventuale fallimento militare russo in Ucraina, senza puntare il dito contro Putin, ma contro i “nemici interni” dello “Stato profondo”, che spingono il Cremlino a “fare gravi concessioni”, che equivalgono a “tradire gli interessi russi”.
L’irrequietezza di Prigozhin, non nuovo ad accuse all’apparato militare russo e ai suoi vertici, alimenta le consuete voci di un’atmosfera cupa al Cremlino, specie dopo la decisione della Cpi, la Corte penale internazionale, di emettere un mandato d’arresto per Putin. Fonti ucraine, la cui attendibilità in merito è relativa, dicono che “si sta già cercando un suo successore”.
Secondo un esponente dell’intelligence militare ucraina, Andrey Yusov, la cerchia di Putin si sta riducendo “e sta diventando sempre più tossica”: “Nelle torri del Cremlino, cresce l’insoddisfazione per quanto sta accadendo … e la consapevolezza delle prospettive di collasso del regime … Si parla di trovare un successore a Putin, ma non è più lui a cercarselo”. Se questa lettura fosse corretta, solo una vittoria varrebbe al leader russo la sopravvivenza politica.