Dunque ha (stra)vinto il sì, con quasi il 70% dei consensi. I favorevoli alla riforma fanno addirittura meglio all’estero, con il 79%. A quanto pare nulla è valso il paventato rischio di riduzione della rappresentanza, aspetto che sui social aveva avuto molta eco: la discrasia con la realtà è stata netta e i sondaggisti, almeno per questa volta, ci hanno preso in pieno.
Tirano un sospiro di sollievo i grillini, i veri sostenitori del taglio. Ancora di più Conte e Zingaretti, che possono restare al loro posto senza patire alcunché. Eppure il dato del sì non è stato omogeneo su tutta la penisola. Ancora una volta si è palesato il cleavage nord-sud e centro-periferia.
Il sì, infatti, ha fatto sistematicamente meglio al sud e nelle periferie delle città. Non a caso le regioni dove registra percentuali più alte sono Molise (79,9%), Calabria (75,5%) e Campania (75,4%). Tra i capoluoghi di regione, invece, vince con distacco a Catanzaro (76,7%), Campobasso (76,2%) e Napoli (74,4%).
Il no va meglio in Friuli (40,4%), Veneto (37,8%) e Liguria (36,2%). Tra i capoluoghi si conferma il dato di Trieste (46,5%) e spiccano Cagliari (45%) e Firenze (44,5%). Interessante il dato sardo, che tra le regioni del sud è l’unica col sì sotto il 70% (66,8%): probabilmente qui l’elettorato si è sentito più preoccupato dalla perdita di rappresentanza.
Ma veniamo alla linea di divisione centro-periferia. Se prendiamo a riferimento tre comuni come Roma, Milano e Torino, cioè tre grandi città dove il no è andato meglio rispetto al dato nazionale, si vedrà come l’elettorato si sia diviso in maniera disomogeneo sul territorio interessato. In particolare, a Torino e Milano il no vince solo nel collegio centrale; mentre a Roma nei soli municipi I e II, che afferiscono al centro. Il no, quindi, appare la famosa scelta da ZTL, lontana anni luce da quella dell’italiano medio.
L’affluenza è stata tuttavia alta per un simile appuntamento – 53,84% – segno che il risultato finale non è attaccabile. Solo in due regioni l’asticella si è fermata sotto il 45%, ossia in Sicilia e Sardegna, entrambe intorno al 35%.
Le gioie per il Movimento 5 Stelle terminano qui. Le regionali per i grillini, infatti, sono state una disfatta: non sono stati competitivi da nessuna parte e anche laddove hanno corso con il Pd non hanno toccato palla.
La situazione di partenza diceva 4 a 2 per il centrosinistra ma, dopo il paventato cappotto, il risultato finale è un pareggio 3 a 3. Sorride quindi Zingaretti, che né vince né perde. Dalla sua l’esser riuscito a confermare a mani basse De Luca in Campania e aver tenuto con le unghie e con i denti Toscana e Puglia. Anzi, qui i risultati finali sono stati più solidi di ogni aspettativa: il centrosinistra ha preso circa 8-9 punti percentuali in più rispetto alle coalizioni di centrodestra. Non solo, il Pd è stata la lista più votata in entrambe le regioni.
Irrilevante, invece, Italia Viva di Renzi, che giocava una partita antitetica: essere indispensabile tanto per la vittoria di Giani quanto per la sconfitta di Emiliano. Se per quest’ultimo nulla è valsa la candidatura di Scalfarotto (che non arriva al 2%), neanche il 4,5% di IV-+Europa in Toscana ha inciso sulle sorti finali dell’elezione di Giani, vincente anche senza l’apporto dell’ex premier.
Ma il vero scalpo lo ottiene la Meloni assieme ai suoi alleati, che riescono a strappare le – da sempre rosse – Marche al centrosinistra. Qui l’on. di FdI Acquaroli succede a Ceriscioli con il 49% dei voti contro il 37% di Mangialardi. Non solo, la lista di Meloni diventa la terza più votata in regione (18,7%), la prima in assoluto nella provincia di Fermo (23%) e la prima del centrodestra in quella di Ascoli Piceno (22%).
Partite senza storia nelle altre regioni. In Campania De Luca e le sue liste sfiorano il 70%, umiliando il sempreverde Caldoro. Ancora meglio fa Zaia in Veneto, attestandosi intorno al 75%. Qui è interessante notare come la lista Zaia abbia quasi triplicato quella della Lega (44,6% contro 16,9%): un dato che, sommato, regala al presidente la maggioranza del Consiglio senza il supporto di altre liste.
Infine la Liguria, unica regione dove si presentava un candidato in linea con la maggioranza di Conte, Ferruccio Sansa. Qui la formula “Pd-M5s” ancora una volta non ha funzionato: la coalizione giallo-rossa, infatti, non è andata oltre il 38,9%. Riconferma quindi per Toti, con il 56% dei consensi e con una sorpresa in più: la sua lista è la più votata in regione (22,6%).
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