Economia
Inflazione: continua a salire ma più lentamente in Italia e Germania, attesa per i dati Usa, mentre in Cina rallenta bruscamente
Di Simone Zivillica
La corsa dell’inflazione iniziata nella fase post-pandemica in tutto il mondo sembra aver cominciato a incontrare i primi rallentamenti. È questo il quadro che emerge dalla lettura dei dati che arrivano dalle strutture di analisi domestiche così come quelle europee, orientali (cinesi) e statunitensi. In una nuova settimana corta per i mercati, complice la pausa pasquale, le Borse europee sono partite timidamente ottimiste, in attesa proprio del dato sull’inflazione Usa.
Ottimismo che, tra l’altro, precede l’avvicinamento di quella che in molti paventano poter essere la peggior stagione delle trimestrali dai minimi registrati durante la pandemia. Non solo. I dubbi sulla salute del sistema finanziario non accennano ad abbandonare opinione pubblica e pubblicata, nonché quelle degli esperti e degli addetti ai lavori, specialmente dopo i crack finanziari sulle due sponde dell’oceano, da quello della Silicon Valley Bank a quello di Credit Suisse.
L’inflazione in Italia: perché continua a crescere, anche se meno velocemente
Tornando all’inflazione, che per molti versi e conseguenza e causa di un sistema complesso finanziario non certo all’apice delle sue forze, quella italiana ha fatto registrare una frenata sia su base annua che su base mensile. L’Istat, infatti, ha comunicato che nel mese di marzo 2023 l’indice nazionale dei prezzi al consumo ha registrato una flessione dello 0,3% su base mensile, mentre su base annua continua l’aumento (del 7,7%) ma in misura ridotta rispetto al mese precedente, quando era stata del +9,1%. In una nota dell’ISTAT, se ne leggono i motivi: “il rallentamento del tasso di inflazione si deve, in prima battuta, alla decelerazione su base annua dei prezzi dei Beni energetici non regolamentati (da +40,8% a +18,9%) e alla flessione più marcata di quelli degli Energetici regolamentati (da -16,4% a -20,4%) e, in misura minore, dalla contrazione dei prezzi degli Alimentari lavorati (da +15,5% a +15,3%), dei Beni non durevoli (da +7,0% a +6,8%) e dei Servizi relativi ai trasporti (da +6,4% a +6,3%)”.
Inflazione e salario minimo: il caso tedesco
La Germania, nonostante l’inflazione subisca un trend generalizzato nell’area euro di rallentamento della crescita (ma pur sempre di crescita si parla), si trova a dover fronteggiare un problema più concreto ancora dell’aumento dei prezzi. L’indice dei prezzi al consumo in Germania, infatti, ha raggiunto un picco del 10,4% su base annua lo scorso ottobre e si è attestato al 7,4% a marzo. I principali istituti economici del Paese stimano che l’inflazione su base annua per l’intero anno scenderà al 6%, un livello ancora elevato. Una situazione, quindi, molto simile a quella italiana, in un contesto economico e lavorativo, però, molto diverso. Sul quotidiano Bild, il ministro del Lavoro Hubertus Heil, in merito, ha dichiarato che «non solo continueremo ad avere un alto livello di inflazione, ma anche gli aumenti previsti dai contratti collettivi si rifletteranno sul salario minimo».
Il salario minimo è stato introdotto in Germania nel 2015 dalla coalizione guidata dall’allora cancelliera Angela Merkel. Fissato inizialmente a 8,5 euro per ora lavorata, è stato costantemente aumentato per far fronte all’aumento dei costi della vita. Nell’autunno scorso, sotto impulso dell’attuale governo a trazione socialdemocratica, il salario minimo ha raggiunto gli attuali 12 euro all’ora. Tuttavia, il prossimo aumento non tarderà ad arrivare, visto che l’inflazione continua a mordere risparmi e potere d’acquisto. Una commissione appositamente creata studierà la sua introduzione per il 1 gennaio 2024. I sindacati hanno chiesto un aumento a 14 euro, mentre le aziende bollano questa richiesta come irrealistica.
In Cina l’inflazione rallenta ancora
A testimoniare che il trend dell’inflazione non è solo un fatto europeo (o anche statunitense, ne avremo conferma domani), c’è anche – e soprattutto – il dato cinese. L’inflazione in Cina, infatti, ha toccato il minimo di 18 mesi. L’indice dei prezzi al consumo è aumentato dello 0,7% su base annua, registrando il ritmo più lento da settembre 2021 e addirittura più debole dell’aumento dell’1% riportato a febbraio. Secondo gli economisti cinesi riportati dalla stampa, “il rapporto cinese sull’inflazione di marzo suggerisce che l’economia cinese sta conducendo un processo di disinflazione, il che indica uno spazio maggiore per l’allentamento della politica monetaria per stimolare la domanda”.
La differenza sostanziale con l’area euro e, in generale, quella occidentale, sta nei dati sui prezzi. Infatti, l’indice dei prezzi alla produzione è sceso del 2,5% su base annua, il ritmo più veloce da giugno 2020 e rispetto a un calo dell’1,4% a febbraio. Andando, inoltre, a isolare l’inflazione dei prezzi alimentari, si evidenzia come questa sia rallentata al 2,4% su base annua dal 2,6% del mese precedente. Su base mensile, infine, i prezzi dei prodotti alimentari sono diminuiti dell’1,4%. Anche per questi motivi, il governo ha fissato un obiettivo per i prezzi medi al consumo nel 2023 di circa il 3%.
L’inflazione rallenta anche negli Stati Uniti
L’inflazione ha fatto registrare una frenata più brusca del previsto anche negli Stati Uniti. Prima conseguenza è l’accelerazione al rialzo dei mercati europei, seguiti a ruota dai segnali positivi in arrivo dai derivati americani che anticipano una partenza tonica per la borsa di Wall Street. Nel mese di marzo, infatti, l’inflazione statunitense è salita del 5%, contro le stime che la davano a un +5,1%.
il governatore della Fed di New York Williams, interpellato da Yahoo Financial ha affermato che la «previsione di un aumento dei tassi di 25 punti base è un punto di partenza ragionevole». Ha poi aggiunto: «dobbiamo farci guidare dai dati. Direi che stiamo prestando attenzione alle condizioni del credito, ma è troppo presto per vedere cambiamenti nelle condizioni e nella disponibilità di credito».