Nella vita personale come in quella pubblica, occorrerebbe sempre provare a cercare-interpretare-comprendere il senso degli eventi, il motivo per cui le cose vadano in un certo modo (e non in un altro).
Dunque, è politicamente razionale chiedersi perché l’esordio alla segreteria di Elly Schlein abbia avuto questi connotati. In sequenza: l’accusa alla destra di disumanità (se non peggio) rispetto alla tragedia di Crotone, poi un accenno predatorio alle case sfitte, poi la piazza di Firenze, con il sottofondo di cori inneggianti al maresciallo Tito, alle foibe, all’”uccidere un fascista non è reato”, al “chiudere le sedi con il fuoco”. Il tutto suggellato, in termini di geometria di rapporti, con gli abbracci a Giuseppe Conte e Maurizio Landini.
Si dirà (ed è una prima risposta seria): perché stupirsi? Già nel corso della battaglia per le primarie, esattamente questa è stata la cifra politica e il connotato culturale della candidatura Schlein: una netta svolta verso la sinistra-sinistra e l’adozione di una piattaforma massimalista.
Certamente c’è del vero in questa analisi. Ma forse occorre investigare su qualcosa di più profondo, di meno congiunturale, di meno occasionale. A ben vedere: perché trasformare una rissa (quella davanti al liceo Michelangiolo, spiacevolissima ovviamente, ma per lo meno controversa nella sua dinamica, con responsabilità sia dei collettivi di sinistra sia del gruppo di destra) in un evento nazionale, ingigantendolo, facendone la metafora del “rischio” che l’Italia tutta starebbe correndo?
La mia lettura è che questa sia insieme la comfort zone di una sinistra sempre più pigra e ripetitiva (il fascismo ovunque, il manicheismo tra “buoni” – loro – e “cattivi” – gli altri –, lo spartiacque etico tra sé e il resto del mondo, la pretesa di superiorità culturale e morale) ma anche l’ammissione sempre più scoperta di un’inferiorità elettorale di cui si è consapevoli. È come se la sinistra ci dicesse: non possiamo vincere, diffidiamo perfino della nostra possibilità teorica di persuadere altri elettori rispetto al terzo degli italiani che complessivamente ci vota. E allora? E allora da un lato vogliamo fare il pieno di quel terzo, richiamandolo attraverso gli stimoli pavloviani più sperimentati e collaudati; e dall’altro, con l’aiuto dei media su cui la nostra influenza è ancora fortissima, scegliamo di incarognire il clima, di inasprire l’atmosfera, sperando che gli altri commettano un qualche fallo di reazione o di nervosismo.
La diagnosi è questa, a mio modo di vedere, e non è affatto rassicurante. Dinanzi a tutto ciò, il governo farà bene a non commettere errori ma soprattutto a non farsi distrarre: l’obiettivo deve essere occuparsi della società italiana, della nostra economia, delle riforme necessarie. Il resto è distrazione, rumore di fondo, guerriglia quotidiana che rischia solo di sottrarre energia e creare piccoli ma fastidiosi incidenti.