Esteri
Ucraina: i flop a ripetizione del G20 sintomo del nuovo disordine mondiale
Di Giampiero Gramaglia
L’Ucraina non è affare da G20. Lo scenario 2022, sotto presidenza indonesiana, si ripete nel 2023, sotto presidenza indiana: prima i ministri delle Finanze a Bangalore, poi i ministri degli Esteri a New Delhi non riescono a concordare una dichiarazione di condanna dell’invasione dell’Ucraina e su come provare a innescare la pace.
Le unanimità, relativamente facili e comunque illusorie, su questo punto di organismi internazionali più omogenei, come il G7 e ancora più la Nato e l’Ue, dove i valori, gli interessi e i punti di vista sono sostanzialmente occidentali, non esprimono un consenso planetario. All’Onu, se ne era avuta l’ennesima riprova la settimana scorsa.
Una maggioranza importante di Stati, ben 141, avevano approvato la condanna dell’invasione e l’appello a una pace giusta, con il ritiro dei russi e il rispetto dell’integrità territoriale ucraina. Ma astenuti e contrari, una quarantina in tutto, rappresentano oltre il 40% della popolazione mondiale.
In fori come il G20, ma anche come i Brics, o la Comunità di Shanghai, il Washington Post osserva che “Cina e Russia si presentano come portatori di pace, che spingono per negoziati che possano mettere fine a un conflitto che sta facendo aumentare globalmente i prezzi alimentari ed energetici”. Un messaggio che ha “un certo richiamo per Paesi in via di sviluppo le cui economie vacillano sotto i colpi di un’inflazione ostinatamente alta e che vedono la guerra come un conflitto europeo senza senso … Mentre altri considerano l’invasione una minaccia grave ai principi di sovranità e non aggressione”.
Al termine del G20, il ministro indiano Subrahmanyam Jaishankar, presidente di turno del meeting, ammette che «sul conflitto in Ucraina ci sono state divergenze, che non siamo riusciti a conciliare». La bozza di dichiarazione chiedeva alla Russia “di cessare le ostilità” e “di ritirarsi del tutto e senza condizioni dal territorio dell’Ucraina”. Russia e Cina si oppongono.
La scorsa settimana, all’Onu, l’India, che al G20, come presidente di turno, ha un ruolo di mediatore, s’era astenuta. Per Mosca, il flop del G20 è colpa dell’Occidente, che “ha posposto tutte le questioni alle sue priorità sull’Ucraina”. In apertura dei lavori, l’India aveva invitato ad andare oltre la crisi Est-Ovest in atto e ad affrontare temi qualificanti per il futuro del Pianeta, come clima ed energia.
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, parlando al Bundestag, rovescia la frittata: «Il mio messaggio – dice – alla Cina è chiaro: usate la vostra influenza su Mosca per fare ritirare le truppe e non datele armi alla Russia».
Spiraglio positivo, l’incontro tra il ministro degli Esteri russo Serguiei Lavrov e il segretario di Stato Usa Antony Blinken, per la prima volta nella stessa stanza dall’analoga riunione del G20 di Bali, l’autunno scorso, e per la prima volta a colloquio – sia pure solo una decina di minuti – dall’inizio dell’invasione.
La portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova minimizza l’episodio. Fonti Usa dicono che Blinken ha avuto un “breve” incontro con Lavrov e ha fatto pressioni sull’Ucraina e perché Mosca revochi la decisione di sospendere il trattato nucleare New Start, l’ultimo patto atomico esistente tra Usa Russia.
Tra Lavrov e Blinken, nella plenaria del G20, c’è anche spazio per un teatrino sulla ‘pace del grano’ raggiunta tra Russia e Ucraina il 22 luglio, con la mediazione di Onu e Turchia. Lavrov accusa l’Occidente di “seppellire spudoratamente” l’intesa, che è in scadenza, creando “evidenti ostacoli” all’export di prodotti agricoli russi in tutto il mondo. Blinken, invece, chiede che Mosca rinnovi l’accordo «per rafforzare la sicurezza alimentare dei più vulnerabili».
Gli echi russi non sono distensivi: il vice di Lavrov Serguiei Ryabkov, parlando alla Conferenza sul disarmo di Ginevra, dice che Usa e Nato stanno «fomentando ulteriormente il conflitto in Ucraina» e che il loro «crescente coinvolgimento» fa rischiare «lo scontro militare diretto tra potenze nucleari con conseguenze catastrofiche».
Nonostante un anno di guerra alle spalle, e centinaia di migliaia di vittime, ci sono ancora in giro Dottor Stranamore. Analizzando le parole e gli atti del presidente russo Vladimir Putin, esperti americani ed europei temono che la Russia, oltre a preparare un’offensiva di primavera sul terreno, voglia imporre un’escalation al conflitto e punti ad allargarlo alla Moldavia, dove l’entità autonoma filo-russa della Transnistria offre un’opportunità di reciproche provocazioni. E il presidente ucraino Volodymyr Zelensky trova sempre occasione per rilanciare il carattere irriducibile della resistenza del suo popolo: domenica, nell’anniversario dell’annessione della Crimea da parte della Russia – era il 2014 -, scriveva su Telegram “Ripristineremo la pace nella Penisola. Quella è la nostra terra”. Il Dipartimento di Stato Usa gli andava in scia: “Non riconosceremo mai la presunta annessione russa”, nonostante i militari statunitensi ritengano molto difficile che l’Ucraina riprenda la Crimea (e anche che rigetti al di là dei propri confini le truppe d’occupazione russe).
La Russia non sta sulle sue: la marina torna a farsi vedere in forze e minacciosa nel Mar Nero, oltre che nel Baltico e nel Mediterraneo. E il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov replica a Zelensky: «Impossibile che la Crimea torni ucraina: è parte integrante della Russia».
Chi sperava che la diplomazia si aprisse un varco, passata la sbornia bellicista della settimana dell’anniversario della guerra intessuta di dichiarazioni nazionaliste e aggressive – le russe – o nazionaliste e oltranziste – le ucraine -, non trova, per ora, conforto: l’accoglienza riservata al piano di pace cinese in 12 punti – Pechino lo chiama senza ambizioni ‘position paper’ – è tiepida, anzi fredda. Si direbbe quasi che gli Stati Uniti, da quando la Cina è uscita dalla fase di non ingerenza nella crisi ucraina, facciano di tutto per peggiorare i rapporti con Pechino: rafforzano uomini e mezzi del sostegno militare a Taiwan; e, secondo il Wall Street Journal, ridanno credito alla tesi, finora negata, che il Covid-19 sia ‘sfuggito’ a un laboratorio cinese. In sottofondo, il ritornello, che torna con insistenza da più parti, anche su Der Spiegel, che la Cina starebbe valutando se fornire alla Russia droni e artiglierie. L’aiuto cinese potrebbe consentire alle forze russe di “sventare la controffensiva ucraina quest’estate”, quando le truppe di Kiev disporranno dei carri occidentali
Quanto all’Unione europea, batte sul tasto delle sanzioni: ha appena varato il suo decimo pacchetto di misure anti-Russia e già lavora al prossimo. L’idea che per avvicinare la pace bisogna perpetrare la guerra resta prevalente nello spirito dei contendenti e nelle diplomazie occidentali, refrattarie – Vaticano a parte – a dare priorità alla cessazione delle ostilità e al risparmio di vite umane; e impermeabili al dissenso di quasi la metà della popolazione mondiale. Il voto all’Onu sulla mozione del 23 febbraio e i dissensi in seno al G20 mostrano che Cina e Russia non sono isolate nella ricerca di nuovi equilibri internazionali e di un nuovo ordine mondiale.
Un Occidente chiuso nella propria ridotta e non aperto ad ascoltare le ragioni degli altri potrebbe ritrovarsi a mal partito. Tanto più che alcuni dei suoi alleati non sono né modelli di democrazia né terreno fertile per i diritti umani. E che la Cina più che la Russia ha la capacità di esercitare influenza economica e culturale.