Economia

Gli effetti del Covid19 sul mercato immobiliare (top & flop)

21
Luglio 2020
Di Piero Tatafiore

Attorno al settore immobiliare ruotano molti degli effetti del lockdown. Dallo smart working che ha portato ad “abbandonare” transitoriamente gli uffici, alle abitazioni che, da luogo dove andare a dormire, per una settantina di giorni sono state vissute h24; dal settore della logistica che ha assicurato il rifornimento delle merci e supportato la crescita dell’ e-commerce a quello retail, pesantemente impattato dalla chiusura.

Oggi, seppur sospesi tra voglia d’estate e il timore della seconda ondata in autunno, è il momento di capire quanto gli effetti del Covid19 abbiano impattato su un settore che in Italia ha visto triplicati gli investimenti nell’ultimo decennio. Ci siamo rivolti a Carlo Vanini, a capo del Capital Market italiano di Cushman & Wakefield, colosso del settore con oltre 50mila dipendenti in 70 paesi.

Vanini, il lockdown e le restrizioni del Covid-19 hanno avuto pesanti ripercussioni sul mercato immobiliare. Ad essere più colpito è il settore commerciale, il direzionale o il residenziale?

Sono settori completamente diversi che attraggono investimenti diversi e che hanno vissuto in modo diverso il lockdown.  Il settore che chiamiamo commercial real estate non comprende il residenziale (inteso come la vendita di appartamenti). Si suddivide tra retail moderno (Shopping Centre e Retail Park), High Street Retail, Hospitality, Logistico e asset class alternative (in particolare Healthcare a Student Housing ma anche Residenziale). Il settore del commercial real estate è stato colpito con una riduzione dei volumi di investimento di circa il 30% rispetto all’anno record del 2019 (che aveva avuto oltre 12mld euro di investimenti), ma è grossomodo in linea coi valori del primo semestre 2016 e 2018. Il Covid, al momento, ha avuto un effetto meno dirompente di quanto ci si aspettava ma ha sicuramente stoppato un percorso di crescita che, nel decennio 2010-2019, ha visto triplicare il valore rispetto al decennio precedente. Se le operazioni core, quelle meno rischiose, hanno performato bene, al contrario le operazioni con un maggior rischio, come quelle value add, hanno subito una battuta di arresto dovuta al fatto che l’incertezza di lungo periodo unita alle difficoltà di finanziamento ha fatto porre gli investitori in una posizione di “wait and see” ovvero attendista. Un settore sicuramente molto colpito è il retail, che accentua una caduta già in atto negli anni precedenti dovuta agli impatti macro sul settore del commercio sia in tema di e-comemrce che come abitudini dei consumatori. Noi gestiamo 60 centri commerciali, il calo di presenze oggi è del 15/20%, che è comunque meno di quanto ci si attendesse. Aspettiamo i fatturati per capire meglio l’impatto economico, intanto sta emergendo la tendenza a rivalutare i centri commerciali di vicinato. Altro settore colpito è l’Hospitality, ma il 2019 è stato da record per i volumi di investimento nel settore con oltre 2 miliardi di euro. Potenzialmente ci sono opportunità, essendo il settore molto frammentato dove molti sono proprietari privati che potrebbero non reggere l’impatto con la crisi da Coronavirus. La logistica non ha subito batture d’arresto, anzi, la spinta dell’e-commerce sta facendo da volano. Nelle asset class alternative come gli studentati o le RSA non ci sono criticità, anche se resta da valutare l’impatto dell’ e-learning da un lato ed eventuali nuove regolamentazioni del settore sanitario dall’altro.. Per quanto riguarda il residenziale infine, si nota la crescita dell’interesse da parte degli investitori per il residenziale in affitto. I grandi player internazionali lo stanno guardando con interesse come forma di investimento. Sia a Milano che a Roma il Covid non ha, al momento impattato sui prezzi del nuovo, mantenendo quindi inalterate le differenze a favore di Milano, particolarmente marcate nel settore office. Insomma, il mercato non si è fermato, nel breve si accentuerà la forchetta tra nuovo e usato, col nuovo che tiene conto di qualche esigenza indotta dal Covid.

Già si notavano cambiamenti nell’articolazione degli uffici (A Milano la sede di Sky a S.Giulia, il “bananone” di PWC a City Life, ecc), il Coronavirus ha amplificato questo cambiamento?

L’emergenza Covid ha accelerato dinamiche già in atto, sia sul fronte dell’articolazione interna degli uffici, sia nella gestione collegata allo smart working. Le grandi aziende oggi hanno un’occupancy dal 25% al 50% rispetto al periodo pre – Covid, questo significa che oltre la metà dei dipendenti è in smartworking. Alcune multinazionali hanno già programmato di mantenere questa organizzazione almeno fino alla fine dell’anno. Prevediamo che in futuro l’ufficio sarà un punto di incontro, un’attrazione per talenti e un’affermazione di brand identity. Pensiamo a Milano, alla torre Unicredit, alla sede Microsoft di viale Pasubio o ai 3 grattacieli di City Life che hanno connotato fortemente i marchi di Allianz, Generali e PWC. In generale, è finita l’epoca dell’ufficio con la fotografia della famiglia sulla scrivania, oggi si lavora con il cosiddetto “flying desk”, nessuno ha la propria scrivania. Questo trend secondo noi continuerà con un aumento degli spazi accessori (sale meeting, phone boot, quite room, luoghi di incontro ecc.) ed una diminuzione del puro spazio uffici a favore però di una maggiore vivibilità degli spazi che vedranno aumentare, anche per ragioni di affollamento, i metri quadrati per persona.  Lo smart working continuerà ma con dinamiche meno estreme dove le persone alterneranno periodi da remoto e periodi in ufficio.

Prevede una gentrificazione delle periferie?

Sì, vediamo un ritorno delle persone dal centro nelle periferie, il centro è più costoso, difficile da approcciare per molte persone e un ruolo devono giocarlo i trasporti. Ciò che è successo con l’Alta Velocità (i benefici apportati nei collegamenti tra Bologna e Milano o tra Milano e Torino e la possibilità di andare per lavoro in un’altra città con un tempo paragonabile a quello per spostarsi all’interno di una grande città) lo potremmo vedere in un raggio più corto. Non c’è stata una delocalizzazione delle aziende.

Il settore della logistica in Germania ha risposto alla grande all’emergenza del Coronavirus, e in Italia?

Anche in Italia non si sono avute contrazioni nei progetti previsti prima e dopo il lockdown. Anzi, l’esplosione dell’e-commerce ha accentuato la richiesta di immobili per la logistica, per essere sempre in più breve tempo vicino al cliente finale. In questo momento gli investitori internazionali guardano con grande attenzione al settore della logistica italiano, basti pensare che il decennio 2010-2019 ha fatto segnare un +162% negli investimenti in logistica rispetto al decennio precedente.

La asimmetria nello sviluppo immobiliare tra nord e sud può essere ridotta per effetto del Coronavirus?

Probabilmente sì, o almeno personalmente spererei di sì perché ne gioverebbe l’intera economia nazionale, ma ci sono troppe incognite ancora. La tempistica è tutta da definire. Bisogna capire se l’organizzazione del lavoro e tecnologie come il 5g riusciranno a convincere le aziende che un lavoratore su Milano può vivere a Palermo per 6 mesi all’anno. E’ ancora presto per capire ma, da italiano, lo spero.

Quali interventi del Governo servirebbero per una crescita del settore immobiliare?

Io credo sia importante che ci siano regole chiare e soprattutto certe. La cosa peggiore che possiamo fare per scoraggiare gli investimenti nel settore immobiliare è cambiare continuamente le regole in corso d’opera. L’incertezza è la peggior nemica degli investimenti e se aggiungiamo all’incertezza ormai acclarata del contesto macroecomico anche quella delle regole nazionali rischiamo che gli investimenti vadano altrove.

Quanto conta la sostenibilità di un immobile per gli investitori esteri?

Rigenerazione e sostenibilità saranno i “mantra” dei prossimi anni nello sviluppo e trasformazione delle città. Ed è nelle città che continueranno ad arriveranno i capitali. Magari città più allargate per l’effetto della gentrificazione di cui parlavamo pocanzi.  Il mercato diventerà ancora più sofisticato: gli uffici (non solo tradizionali) continueranno ad attrarre domanda ma nuove asset class, come il living in tutte le sue declinazioni, che sono già entrate nel radar degli investitori, consentiranno di sostenere i volumi nel prossimo futuro. E poi i building che sono diventati simboli di brand identity, spesso si trasformano in simboli della city identity (pensiamo a come City Life o Porta Nuova a Milano abbiano creato nuovi luoghi di aggregazione ed attrazione anche per i “non milanesi” che vanno a vedere il Duomo ma anche i grandi progetti che hanno cambiato la città) anche per questo i nuovi immobili devono essere il più possibile a impatto zero.

Photo Credits: The Watcher