Esteri
La diplomazia cinese a Mosca, un’alleanza spinta anche dal commercio
Di Giuliana Mastri
Il capo della diplomazia del Partito comunista Wang Yi ha incontrato oggi a Mosca il presidente russo Vladimir Putin, dopo aver visto il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov. La dinamica sembra ormai sviluppata: se Mosca ha bisogno, Pechino c’è. La federazione russa forse non è così isolata come ci piacerebbe pensare e sta puntando apertamente sul ridisegnare le sue geometrie politiche. «Le relazioni tra Russia e Cina sono importanti per stabilizzare la situazione internazionale», ha dichiarato Putin, mentre si sta preparando una possibile visita a Mosca di Xi Jinping, come ha scritto il Wall Street Journal. L’incontro potrebbe avvenire nei prossimi mesi, con il presidente cinese che intende fare di più per favorire una soluzione diplomatica della guerra in Ucraina, ribadendo di evitare il ricorso alle armi nucleari, proprio ora che Vladimir Putin ha annunciato l’intenzione di sospendere la partecipazione al New Start, un trattato sulla riduzione delle armi nucleari firmato da Stati Uniti e Federazione Russa a Praga l’8 aprile 2010. Infatti in mattinata la Duma, la camera bassa del Parlamento di Mosca, ha adottato la legge sulla sospensione del New Start. Nel pomeriggio la legge è passata anche al Consiglio federale, la camera alta del Parlamento Russo.
Non solo adesso la politica sulle armi atomiche si sta slacciando ma sembra che, attraverso l’aggiramento delle sanzioni, Pechino riesca a fornire a Putin apparecchiature tecnologiche utili a scopi militari come chip e droni. Il valore totale delle importazioni di chip, infatti, è passato da 1,8 miliardi di dollari registrati nel periodo gennaio-settembre 2021 a 2,45 miliardi di dollari nello stesso periodo del 2022.
Da notare, inoltre, che la performance commerciale di Mosca nell’anno dello scoppio del conflitto sia stata tutt’altro che negativa, trainata dalla maggiore esportazione di gas e petrolio, visto che gli Stati nemici hanno comunque pensato di fare scorte in previsione della virata nei rapporti. E la Cina accetta volentieri di sostenere l’export russo: il commercio tra Russia e Cina ha raggiunto un nuovo massimo storico nel 2022, salendo del 29,3% rispetto al 2021, per un totale di 190,27 miliardi di dollari, secondo l’Amministrazione generale delle dogane della Cina. Il surplus della Russia nelle relazioni commerciali con la Cina, è stato di 38 miliardi di dollari, triplicato rispetto al 2021. Il fatturato commerciale tra i due Paesi è stato pari a 17,8 miliardi di dollari nel dicembre 2022, con un calo del 3% rispetto a novembre.
Pechino ora è il maggior partener commerciale della Russia. L’intensificazione degli scambi di semiconduttori era già stata avviata in passato e adesso ovviamente continuerà. Prima o poi Mosca potrebbe registrare il contraccolpo della (quasi) rottura con l’occidente e a differenza allo scorso anno i dati del 2023 dovrebbero essere meno trionfanti. Però il punto è che le sanzioni vengono eluse con triangolazioni e molte merci passano dalla Turchia, un membro della Nato. Difficile stabilire se effettivamente esista un divieto di esportazione in Russia di micro-chip di stampo americano, tuttavia l’intento del blocco occidentale, agli inizi, era proprio quello di far mancare a Mosca gli approvvigionamenti tecnologici.
Eppure, come riferisce Reuters, almeno 2,6 miliardi di dollari di computer e altri componenti elettronici sono entrati in Russia nei sette mesi fino al 31 ottobre, a giudicare dai registri doganali russi. Almeno 777 milioni di dollari di questi prodotti sono stati realizzati da aziende occidentali i cui chip sono stati trovati nelle armi moscovite. Si tratta di di marchi come ad esempio Intel Corp, Advanced Micro Devices Inc, Texas Instruments Inc., Analog Devices Inc. e Infineon AG. Insomma, dopo aver annunciato il decimo pacchetto di sanzioni, qualcosa ancora non quadra.