Economia
Se non decide il mercato, chi paga?
Di Daniele Capezzone
Scrive con tono militante e perentorio un redattore di Repubblica impegnato nello sciopero contro il
suo editore: “Logiche puramente di mercato che non possiamo accettare: l’informazione è
democrazia”. E ribadisce l’autorevole esponente dem, che alcune ore dopo quasi fotocopia il
concetto nella sua dichiarazione di solidarietà ai giornalisti in lotta: “L’informazione non può
piegarsi a mere logiche di mercato: è democrazia”.
Ora, chi scrive queste righe notoriamente non condivide la linea editoriale dei quotidiani del gruppo
Gedi. Ma, ciò detto, come si fa a contestare all’editore – che paga e ripiana le perdite – il diritto di
prendere le decisioni, e al limite anche di vendere alcune testate?
Affermare apoditticamente che “l’informazione è democrazia” che vuol dire? Che un editore debba
mettere i soldi senza poter compiere alcuna scelta? Che un giornale in salute (che aumenta le
copie vendute) e un giornale al collasso (che ne perde il 15% l’anno da molti anni) siano nella
stessa condizione?
Si badi bene. Qui non si tratta di “assolvere” chicchessia dalle proprie responsabilità. Nel caso di
specie, se un quotidiano va male, la prima responsabilità è proprio dell’editore. Che però – piccolo
“dettaglio” – ne è anche il proprietario, e dunque ha tutto il diritto di compiere le sue scelte: sulla
direzione, sull’orientamento della testata, e in ultima analisi su una sua eventuale cessione.
Se si perde di vista questa bussola, che idea di mondo si ha in mente? Quella per cui un cantante
“debba” avere successo ed entrate garantite anche se ai suoi concerti non va nessuno? Quella per
cui uno scrittore “debba” incassare una valanga di soldi anche se non vende i suoi libri? Quella per
cui una squadra di calcio “debba” vincere il campionato anche se perde tutte le partite? Quella per
cui la proprietà privata non esista e ci siano ambiti in cui il proprietario “debba” agire come un
donatore di sangue?
Questo “mettersi al riparo” dal mercato nasconde due retropensieri: o l’aspirazione al
finanziamento pubblico perenne o l’idea che il proprietario privato debba pagare e tacere. L’una e
l’altra cosa non corrispondono a ciò che può accadere in un paese dell’Occidente avanzato.
Si dirà – già sento le voci “progressiste” in sottofondo – che l’informazione non è un bene come un
altro. Premesso che l’affermazione non mi convince, resta il fatto che oggi proprio la rivoluzione
tecnologica già avvenuta non comprime affatto – semmai esalta – la libertà di espressione di
ciascuno.
Non ti piace il tuo editore? Puoi tranquillamente esprimerti per conto tuo in modo
indipendente. E l’esplosione dei canali social ti consente di non essere solo l’equivalente di un
maniaco che scrive sui muri dei bagni dell’autostrada, ma un protagonista che ha tutte le chances
di raggiungere un vasto pubblico, di farti conoscere-apprezzare-criticare, di garantire alle tue idee
la circolazione più ampia. L’unica cosa che non puoi fare è pretendere che qualcun altro sia
obbligato a pagarti per finanziare le tue idee. Una pretesa del genere ha un esito già scritto: una
prepotenza nei confronti di qualcun altro (tutti i contribuenti o il proprietario privato) e un tuo “diritto”
(sancito non si sa bene da chi) a sfornare prodotti mediocri che qualcun altro sia costretto a
finanziare.