Economia

Ucraina, rivedere il commercio internazionale o sarà disastro. La lettera al Financial Times

17
Febbraio 2023
Di Giampiero Cinelli

«Noi respingiamo la tesi di uno “scontro di civiltà”. Piuttosto, occorre riconoscere che le contraddizioni del sistema economico globale deregolamentato hanno reso le tensioni geopolitiche estremamente più acute». Questo scrivono in introduzione, come promotori di una lettera aperta pubblicata oggi sul Financial Times, gli economisti Robert Skidelsky (Warwick University in Gran Bretagna) e Emiliano Brancaccio (ricercatore e docente di politica economica all’Università del Sannio, nonché noto ospite televisivo). I due studiosi cercano di porre le coordinate per un’analisi economica dello sviluppo bellico, mirando a individuare le condizioni utili affinché la conflittualità possa placarsi.

Il nocciolo

Il testo, apparso sul più prestigioso quotidiano economico del mondo è molto chiaro e sintetico. Soprattutto quando si spiegano le premesse: «Uno dei principali guasti dell’attuale sistema mondiale risiede nello squilibrio delle relazioni economiche ereditato dall’era della globalizzazione deregolata. Ci riferiamo alle posizioni nette internazionali (per “posizioni nette” intendono i saldi nelle transazioni di un’economia con l’estero), in cui gli Stati Uniti, il Regno Unito e vari altri Paesi occidentali hanno accumulato ingenti debiti verso l’estero, mentre la Cina, altri Paesi orientali, e in parte anche la Russia, sono in una posizione di credito verso l’estero. Un’implicazione di questo squilibrio è la tendenza a esportare capitale orientale verso l’Occidente, non più soltanto sotto forma di prestiti ma anche di acquisizioni: una centralizzazione del capitale in mani orientali».

America First

Nella lettera viene precisato: «Per contrastare questa tendenza, da diversi anni gli Stati Uniti e i loro principali alleati hanno abbandonato il loro precedente entusiasmo per il globalismo deregolato e hanno adottato una politica di “friend shoring”: una chiusura protezionista sempre più accentuata nei confronti delle merci e dei capitali provenienti da Cina, Russia e gran parte dell’Oriente non allineato. Anche l’Unione Europea si è unita a questa svolta protezionista guidata dagli americani».

E avvertono

Dunque il monito: «Se la storia insegna qualcosa, queste forme scoordinate di protezionismo esacerbano le tensioni internazionali e creano condizioni favorevoli a nuovi scontri militari. Il conflitto in Ucraina e le crescenti tensioni in Estremo e Medio Oriente possono essere pienamente compresi solo alla luce di queste gravi contraddizioni economiche».

Poi la proposta: «Per avviare un realistico processo di pacificazione, è oggi dunque necessaria una nuova iniziativa di politica economica internazionale». Brancaccio e Skidelsky spiegano: «Occorre un piano per regolare gli squilibri delle partite correnti (cioè i flussi di beni e servizi), che si ispiri al progetto di Keynes di una international clearing union. Lo sviluppo di questo meccanismo dovrebbe partire da una duplice rinuncia: gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero abbandonare il protezionismo unilaterale del “friend shoring”, mentre la Cina e gli altri creditori dovrebbero abbandonare la loro adesione al libero scambio».

L’appello

Concludendo: «Siamo consapevoli di evocare una soluzione di “capitalismo illuminato” che venne delineata solo dopo lo scoppio di due guerre mondiali e sotto il pungolo dell’alternativa sovietica. Ma è proprio questo l’urgente compito del nostro tempo: occorre verificare se sia possibile creare le condizioni economiche per la pacificazione mondiale, prima che le tensioni militari raggiungano un punto di non ritorno».

Analizziamo la lettera

Un testo breve ma denso di significati. Su cui poter sviluppare molte riflessioni. La prima, è che sicuramente, se si vuole essere critici, il ragionamento potrebbe peccare di economicismo. Cioè, le dinamiche macroeconomiche esposte, senz’altro vere, sono effettivamente così determinanti nel generare il pericoloso attrito, o conta di più la logica di spartizione dei territori d’influenza, un aspetto su cui appunto la Russia stava soffrendo, ritenendo necessario porre fine all’accerchiamento verso est, e marcando quella linea rossa che corrisponde a Kiev? Di contro, ovviamente, emerge l’istinto geopolitico del blocco Nato, oculato o irresponsabile che sia, ma comunque attinente a dinamiche non prettamente economiche.

D’altro canto, però, va detto, l’analisi tecnica di Brancaccio e Skidelsky è molto lucida ed ha il pregio di fornire un collegamento storico importante su cui imperniare la proposta politica, richiamandosi al tentativo diplomatico di Keynes, nel 1944, di rimodellare i meccanismi del commercio internazionale. Secondo l’idea, in sintesi, che gli scambi tra nazioni non andassero a determinare un debito-credito nei bilanci pubblici, limitando la cogenza dei conti economici al proprio mercato interno. In questo modo non ci sarebbero state vistose asimmetrie a livello globale, quindi meno squilibri e una maggiore probabilità che i rapporti internazionali rimanessero stabili.

Il progetto del celebre economista britannico non fu adottato, a vantaggio invece del sistema di matrice americana sancito a Bretton Woods, in cui il dollaro era convertibile in oro e tutte le monete satelliti mantenevano un rapporto di cambio predefinito con la valuta statunitense. Seguirono ugualmente anni di pace e prosperità, ma perché gli Stati si proposero di cooperare strettamente e di adottare politiche espansive, con Washington a trainare il commercio estero degli alleati. Fino alla rottura del sistema nel 1971, quando Richard Nixon annunciò la fine della convertibilità del dollaro in oro.

Il documento si può condividere o meno. In ogni caso crediamo sia un contributo utile ad alzare il livello del dibattito. Che sul conflitto russo-ucraino non va spento e soprattutto non può limitarsi a posizioni troppo emotive e preconcette.

la versione della lettera apparsa sull’edizione di FT del 17 febbraio 2023

Qui altri firmatari citati nel documento: Rania Antonopoulos (Levy Economics Institute, US), Pier Giorgio Ardeni (University of Bologna, IT), Josef Baum (University of Vienna, AT), Johannes M. Becker (Philipps University of Marburg, DE), Rosaria Rita Canale (Università Parthenope, IT), Marcella Corsi (University La Sapienza, IT), Christophe Depoortère (University of Reunion, FR), Jesus Ferreiro (University of the Basque Country, ES), Giuseppe Fontana (University of Leeds, GB), Mauro Gallegati (Marche Polytechnic University, IT), Alicia Girón (Universidad Nacional Autonoma, MX), Rebeca Gomez Betancourt (University of Lyon 2, FR), Gjalt Huppes (Leiden University, NL), Grazia Ietto-Gillies (London South Bank University, GB), Jakob Kapeller (University Duisburg-Essen, DE), Theodore Mariolis (Panteion University, GR), Mahmood Messkoub (ISS, Erasmus University of Rotterdam, NL), Juan Carlos Moreno Brid (Universidad Nacional Autónoma, MX), Júlio Marques Mota (University of Coimbra, BR), Dimitri Papadimitriou (Levy Economics Institute, US), Ugo Pagano (University of Siena, IT), Heikki Patomäki (University of Helsinki, FI), Paolo Pini (University of Ferrara, IT), Louis-Philippe Rochon (Laurentian University, CA), Sergio Rossi (University of Fribourg, CH), Donald Sassoon (Queen Mary, University of London, GB), Mario Seccareccia (University of Ottawa, CA), Gennaro Zezza (Levy Economics Institute, US).

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