Lavoro

Benessere dei dipendenti e raggiungimento del risultato, la ricetta di COTEC

10
Febbraio 2023
Di Daniele Bernardi

Mercoledì 8 febbraio è stato presentato l’ultimo Rapporto COTEC su Innovazione e Crescita. COTEC è una fondazione sviluppata attorno al tema dell’innovazione e di quelle competenze di cui le imprese hanno sempre più bisogno per proiettarsi nel futuro.

Spiegano nel rapporto che, a partire dalla pandemia da COVID-19, è incominciato nel nostro paese – e non solo – un fremente processo di innovazione che investirà complessivamente oltre un miliardo di posti di lavoro: entro il 2030 prevedono gli analisti che circa il 30% dei lavori richiederà competenze completamente nuove.

Questa premessa che può apparire minacciosa e preoccupante è necessaria a spiegare l’importanza del ruolo che le imprese possono e devono svolgere nello sviluppo di nuovo Capitale umano. Capitale umano basato su competenze trasversali (le cosiddette soft skills). Alla base di tutto ciò c’è un assioma fondamentale, quello per cui “motivazione, benessere e risultato possono convivere ed essere molto potenti, se insieme”, assioma che è sempre più facile ritrovare nelle nostre aziende: una logica in cui si antepone il Noi (del datore di lavoro e dei dipendenti) all’Io (del solo proprietario), una visione detta “eco-sistemica”, spesso accompagnando il tutto con una maggiore attenzione al ‘come’ si raggiunge un determinato risultato piuttosto che al suo mero ottenimento ad ogni costo.

Non è solo il datore di lavoro però a dover fare un passo in avanti secondo COTEC: anche il dipendente deve incominciare ad abbandonare una logica egocentrica e quel sospetto quasi endemico della nostra società che ci porta a dubitare costantemente dell’altro, finendo per ripiegare in noi stessi.

Condividendo i dati di Vodák, si stima che l’80% del valore aziendale oggi provenga da beni immateriali, intangibili, frutto in primo luogo di processi innovativi: la proprietà intellettuale (i brevetti per intenderci), il capitale organizzativo, l’open innovation e il capitale umano. I vantaggi di possedere questo genere di asset sono sotto gli occhi di tutti: le aziende che hanno puntato sull’innovazione interna prima della pandemia, sono state le migliori ad uscire dalla crisi economica.

Tra quelli citati sopra, il capitale umano è il bene intangibile più importante e gioca un ruolo chiave nel periodo odierno, caratterizzato appunto (lo si diceva prima) da un radicale cambio delle mansioni svolte dai lavoratori. Il World Economic Forum stima che al 2025 il 6% dei posti di lavoro verrà perso. Al contempo però si avrà un crescente bisogno di nuove figure professionali: sempre il WEF prevede che il 40% dei lavoratori vedrà cambiare significativamente le proprie competenze chiave.

Detto ciò, l’Italia come è messa quando parliamo di capitale umano? Innanzitutto, bisogna dire che lo sforzo non manca: tra il 2017 e il 2021 il 34% circa delle imprese ha messo in campo iniziative di formazione continua e il 24,5% ha realizzato attività per dotare i propri dipendenti di competenze digitali. Ciononostante, sempre nel 2021, è aumentata anche la percentuale delle imprese che si dicono in difficoltà nel trovare personale con le adeguate competenze. Un dato che non stupisce, secondo il rapporto dell’ISTAT, al 2020 erano circa il 35% gli uomini laureati in materie STEM (scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche), addirittura solo il 17% per le donne.

Nel rapporto seguono poi diverse storie di brand italiani e della loro esperienza.

Nel 2021, il Gruppo Almaviva – gruppo italiano dell’innovazione digitale – ha creato “become”, un progetto che punta a valorizzare il capitale umano in azienda rivoluzionando l’organizzazione del lavoro, rimettendo l’individuo al centro e dando maggiore importanza al concetto di socialità.

Non è da meno ENI. L’Ente Nazionale Idrocarburi parla di una People Strategy orientata all’innovazione e al cambiamento. Sarebbe in atto un vero e proprio cambio di rotta verso un approccio più people-centric che vede nelle persone, nei dipendenti, delle risorse su cui investire in formazione, ma anche da supportare mediante attività di welfare aziendale. È su queste basi che nel post-pandemia è nata Joule, una scuola per l’impresa che punta a valorizzare il capitale umano e le tecnologie.

Rimanendo nel pubblico, anche Ferrovie dello Stato parla di una nuova People Strategy come per ENI. Spiega Massimo Bruno Chief Corporate Affairs Officer del Gruppo FS: “Le persone sono il fattore abilitante il Piano Industriale e una trasformazione di questo tipo non può che iniziare da una People Strategy pensata e costruita con l’obiettivo di accompagnare, sostenere e supportare ognuno degli 82.000 colleghi e colleghe FS nel cambiamento, partendo da tre linee di intervento”: “accelerare l’evoluzione di competenze e professionalità e restituire valore alle persone e al loro benessere”, “rendere dinamico e reattivo il funzionamento organizzativo attraverso digitalizzazione, flessibilità, trasversalità” e “individuare ruoli e competenze del domani”.

Storie simili a quelle citate sopra si ripetono anche in Leonardo, Poste Italiane e TIM. Esempi virtuosi di un sistema che nel nostro paese stenta ancora a decollare ma che, laddove testato, ha già dato i suoi frutti.