Economia
Brasile e Argentina parlano di moneta unica. Obiettivo? Liberarsi dal dollaro
Di Giampiero Cinelli
Una moneta unica tra Brasile e Argentina. Non è fantascienza. I due Paesi sudamericani, tra i tre più importanti per volume economico, hanno iniziato a parlare del progetto di creare una moneta comune, denominata “Sur”, che sarà associata, almeno inizialmente, alle divise nazionali (il real e il peso). Un primo confronto c’è stato il 24 gennaio in occasione del settimo vertice, a Buenos Aires, della Comunità di Stati latinoamericani e dei Caraibi (Celac). Ma i presidenti Luis Inacio Lula e Alberto Fernandez si erano già incontrati il giorno prima. «Ci sarà una discussione per iniziare a studiare i parametri necessari per una valuta comune che include tutto, dalle questioni fiscali alle dimensioni dell’economia al ruolo delle banche centrali – ha dichiarato al Financial Times il ministro dell’Economia argentino Sergio Massa –. Non voglio creare alcuna falsa aspettativa. È il primo passo di una lunga strada che l’America latina deve percorrere». Lo stesso Massa ha ricordato come l’Europa abbia impiegato 35 anni per dare vita all’euro. Il piano ambiziosissimo quindi non si concluderà presto e, si intuisce, contempla un ulteriore sviluppo in ottica di una moneta comune sudamericana.
L’istanza ha basi molto comprensibili. In primis, come tutti i principali analisti hanno osservato, il tentativo di de-dollarizzazione. Poi, altri obiettivi simili a quelli che hanno portato all’euro, come la velocizzazione e l’ampliamento degli scambi commerciali, la riduzione dei costi, una maggiore indipendenza nelle scelte di politica economica a livello internazionale. È stato stimato che un’unione monetaria che coinvolga l’intero Sudamerica rappresenterebbe il 5% del Pil globale, mentre l’unione monetaria più grande al mondo, l’eurozona, copre circa il 14% del Pil globale. Brasile e Argentina, purché non sempre stabili, tratto caratteristico dei sistemi produttivi latinoamericani, hanno comunque le potenzialità per essere forze trainanti. Il loro interscambio che ha raggiunto i 26,4 miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2022, in aumento di quasi il 21% rispetto allo stesso periodo del 2021. Il Messico è la seconda economia latinoamericana in base al Pil, dietro appunto al Brasile, l’Argentina è terza. Rispetto invece al Pil pro capite, che misura il livello di benessere degli abitanti, l’ordine cambia: prima è l’Argentina (che ha solo 43 milioni di abitanti, meno della Colombia), secondo il Messico (che ha 122 milioni dia abitanti), terzo il Brasile (che suddivide il suo Pil su una popolazione di 204 milioni).
Dannato dollaro. Ma conviene sganciarsi?
La moneta statunitense è la più diffusa al mondo. Siccome è usata come valuta di riserva negli scambi internazionali e alcune materie prime come il petrolio si acquistano in dollari. Non solo: Washington, come ogni potenza egemone lungimirante dovrebbe fare, dalla seconda metà degli anni ’70, e in modo evidente e strutturale dagli anni ’90, sceglie di stare in deficit commerciale verso l’estero. Coè di importare più di quanto esporta. Questo affinché il dollaro fluisca costantemente nelle casse delle altre nazioni, che poi lo riusano appunto per le transazioni internazionali, per acquistare materie prime, per investimenti di portafoglio. Così il biglietto verde, già forte di suo, resta sempre stabile e ad alto valore. Purtroppo però, nei confronti del Sudamerica gli Usa hanno adottato politiche economiche più aggressive, forzando la presenza del dollaro e favorendo l’indebitamento in dollari o con i prestiti del Fmi, o con l’emissione da parte dei Paesi latinoamericani di debito pubblico denominato in dollari invece che nella moneta nazionale, oppure spingendo per agganci di cambio, ovvero il fissare la parità 1 a 1 tra dollaro e una moneta. L’Argentina ha spesso adottato questa politica. E dunque, secondo larga parte dell’opinione pubblica sudamericana, e specialmente nelle frange politiche più di sinistra, tali dinamiche hanno favorito il sottosviluppo e i crac dei sistemi dell’America meridionale, soprattutto dell’Argentina, che ha vissuto più di un default.
Ecco perché la voglia di liberarsi dal dollaro è così forte, e in verità questo è il sogno nel cassetto anche dell’Unione Europea, che però, nonostante abbia impresso un notevole mutamento storico, non ha ancora spodestato il dollaro, pur avendo un mercato più grande. E non ci sta riuscendo neppure la Cina, anche se la percezione comune è che la sua economia possa diventare la maggiore al mondo. La verità è che la de-dollarizzazione, se avverrà, avrà bisogno di tanto tempo. Le riserve delle banche centrali sono piene di biglietti verdi e, ricordiamolo, a garanzia di questi non c’è solo la potenza economica ma anche quella… militare. Ad ogni modo, anche tra gli economisti brasiliani serpeggia la diffidenza. Verso un’Argentina che spesso ha dato prova di scarsissima affidabilità e nei confronti di un continente che certo non è solido come quello europeo e che deve ancora fare molti passi avanti per potersi permettere un’unione monetaria, un modello sempre insidioso e complesso che genera difficoltà e asimmetrie anche in un’area molto avanzata come l’eurozona.