Innovazione
Giornali e Big Tech, l’Agcom vara l’equo compenso per i ricavi pubblicitari online
Di Giuliana Mastri
La difficile convivenza tra le big tech e gli editori di giornali è sempre stata evidente. All’annosa diatriba ora l‘Agcom cerca di mettere argine, con l’approvazione di un regolamento che impone un equo compenso per i ricavi pubblicitari che le corporation digitali ottengono grazie alla pubblicazione di contenuti giornalistici.
L’obiettivo è il raggiungimento di accordi tra le due parti. Come indica il testo, varato dal Consiglio dell’Autorità con un solo voto contrario, i ricavi pubblicitari costituiranno la base di calcolo per la determinazione dell’ammontare della quota spettante all’editore.
Il regolamento si aggancia alla legge sul diritto d’autore, approvata nel 2021 in applicazione della direttiva Ue sul copyright. Questa normativa serve a colmare il divario tra i ricavi percepiti dalle grandi piattaforme per la pubblicazione di contenuti giornalistici e quelli che finiscono nelle casse degli editori, titolari dei diritti. Secondo la legge, se entro 30 giorni dalla richiesta di avvio del negoziato, le parti non riescono a trovare un accordo sull’ammontare del compenso, ciascuna di esse può rivolgersi all’Autorità per la sua determinazione. L’Agcom, entro 60 giorni dalla richiesta, indica quale delle proposte formulate è conforme ai criteri stabiliti dal regolamento oppure, qualora non reputi conforme nessuna delle proposte, indica d’ufficio l’ammontare.
All’editore, come esito della negoziazione, potrà essere attribuita una quota fino al 70%, determinata in virtù dei parametri predeterminati. Tale somma, è distinta da quella che l’editore ricava grazie al traffico sul proprio sito web. Sebbene, anche i ricavi direttamente attribuibili all’editore, siano in parte prodotti dalla pubblicazione sulle piattaforme dei propri contenuti. A tutti infatti è evidente quanto i social incentivino il traffico a beneficio degli editori stessi. Ma allo stesso tempo, la sproporzione nei guadagni degli attori in gioco è ormai sotto gli occhi di tutti. Ecco anche perché i principali giornali stanno progressivamente abbandonando il modello di business basato sulla sola pubblicità online, offrendo sempre di più articoli su abbonamento.
I dettagli
I criteri stabiliti per quantificare le risorse da corrispondere sono il numero di consultazioni online delle pubblicazioni, la rilevanza dell’editore sul mercato, il numero di giornalisti, inquadrati ai sensi di contratti collettivi nazionali di categoria, i costi sostenuti dall’editore per investimenti tecnologici e infrastrutturali, i costi sostenuti dal prestatore di servizi per investimenti tecnologici e infrastrutturali, adesione e conformità dell’editore e del prestatore a codici di autoregolamentazione e a standard internazionali in materia di qualità dell’informazione, anni di attività dell’editore. Il regolamento disciplina anche la determinazione dell’equo compenso dovuto dalle imprese di media monitoring e rassegne stampa. In questo caso, l’Autorità ha preferito non indicare un’aliquota, suggerendo però di tenere in considerazione quelle adottate da prassi di mercato consolidate.
Le opinioni
Su un tema complesso e nuovo come questo le opinioni sono variegate. Gli entusiasti, certamente molti. I quali credono che con il regolamento approvato le dispute saranno risolte in tempi più brevi e con efficacia, arrivando a «compensazioni eque». Ma c’è anche chi ritiene, come ad esempio Elisa Giomi, l’unica commissaria Agcom ad aver votato contro la norma, che il regolamento «non tutela adeguatamente gli editori e al contempo impone oneri sproporzionati alle piattaforme, ostacolando anziché facilitare le negoziazioni tra le parti».