Esteri

Davos: il Forum di guerra non porta né la pace né la crescita

20
Gennaio 2023
Di Giampiero Gramaglia

Una settimana di chiacchiere; eccellenti, ma chiacchiere. La guerra in Ucraina non fa cambiare pelle al Forum di Davos: occasione di networking per antonomasia, ma non vocato a decisioni. Chi vuole smentire questa affermazione fa sempre riferimento al 2016, quando Nikos Anastasiadis, allora e tuttora presidente cipriota, e Mustafa Akıncı, leader turco-cipriota, s’incontrarono nel panel ‘Reuniting Cyprus’, presente Ban Ki-moon, segretario generale delle Nazioni Unite. I due delinearono un compromesso sulla riunificazione dell’isola.

Ma il fatto che l’esempio citato sia sempre lo stesso –e, tra l’altro, sette anni dopo, l’intesa non è stata ancora perfezionata – non fa che confermare l’asserto: al Forum, ci si fa vedere, ci s’incontra, ci si sonda, ma non si decide nulla.

Quest’anno, la guerra in Ucraina è stata protagonista, fin dall’apertura. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, assicura gli ucraini che “l’Europa sarà sempre con voi” e che ci sarà sempre “per tutto il tempo che sarà necessario” per gli aiuti e la ricostruzione. Bruxelles – ricorda – ha già sbloccato una fetta di aiuti da tre miliardi di euro, prima parte d’un pacchetto da 18 miliardi per il 2023.

Tradizionale palestra di parole cui non seguono fatti, il World Economic Forum 2023 è segnato, oltre che da contesto bellico, che incide sulle economie e sull’inflazione, dall’urgenza di sventare una recessione globale provocata dalla crescente frammentazione geopolitica sui fronti degli scambi e degli investimenti: lo dimostra la partecipazione record di ministri delle Finanze, ben 57, l’afflusso massiccio di banchieri centrali, 17, e un drappello di capi di Stato e governo europei. Christine Lagarde, presidente della Bce, smorza alcuni allarmi: la recessione – dice – sarà meno grave del previsto, pur in un quadro di inflazione elevata; ma ne uscita altri: Francoforte alzerà ancora i tassi per frenare l’inflazione.

Il conflitto tiene banco
Ma il conflitto tiene banco. Per l’Ucraina, c’è una folta delegazione: l’obiettivo principale è indurre i Paesi occidentali a fornire a Kiev più armi e più velocemente per permetterle di meglio difendersi dall’invasione russa. Lo riconosce il sindaco di Kiev Vitali Klitshko: “Sono qui per questo”. Ci sono la moglie del presidente Volodymyr Zelensky  Olena, e due vice-premier, Yuliia Svyrydenko, ministra dell’Economia, e Mykhailo Fedorov, ministro della Digitalizzazione, oltre a Klitshko.

Assenti invece i russi, ‘personae non gratae’ a Davos. Il che esclude a priori che il Forum diventi momento di dialogo fra i contendenti. In parallelo all’evento, il presidente russo Vladimir Putin riunisce i responsabili economici del suo Paese e afferma che l’economia va meglio del previsto: è un messaggio all’Occidente, s’ignora quanto veritiero, per dire che le sanzioni non funzionano, anzi sono un boomerang.

Giovedì, Zelensky fa un intervento virtuale e getta un sasso nello stagno: agita dubbi sul fatto che Putin “sia ancora vivo”, mettendo in discussione che lo zar prenda ancora decisioni a Mosca. “Non sono sicuro che il presidente russo, che a volte appare in tv contro il chroma key, sia davvero lui”, afferma Zelensky, riferendosi alla tecnica utilizzata per creare uno sfondo in un video. C’è chi ritiene che Putin la utilizzi per far credere che stia in un posto mentre in realtà si trova in un altro.

Le preoccupazioni economiche globali
L’edizione 2023 del World Economic Forum – titolo: la ‘Cooperazione in un mondo frammentato’ – è un ritorno al passato, dopo un biennio condizionato dalla pandemia. I numeri sono pre-Covid, anzi meglio. Il fondatore e presidente esecutivo del Wef Charles Schwab parla di presenze record, conta oltre 2.700 leader. Borge Brende, presidente dell’organizzazione che ha sede a Ginevra, sostiene che “non ci sarà una ripresa globale senza rilanciare il commercio e gli investimenti globali” minacciati dalle tensioni geopolitiche.

Nei giorni del Forum, i dati sull’economia cinese aumentano disagi e timori: nel 2022, il Pil cinese è cresciuto di appena il 3%, ai minimi dal 1976 e c’è stato un calo demografico per la prima volta dal 1961 – i decessi hanno superato le nascite di 850mila unità -. C’è uno tsunami in arrivo sui conti pubblici cinesi, tra welfare e social security, con inevitabili riflessi economici e geo-politici; e l’India sta per divenire il Paese più popoloso al Mondo.

L’Oxfam denuncia: disuguaglianze in crescita
L’Oxfam pubblica il suo rapporto annuale in coincidenza con il Forum: ‘La disuguaglianza non conosce crisi” è il titolo, quanto mai azzeccato. Nel biennio pandemico 2020-2021, l’1% più ricco della popolazione mondiale ha visto crescere i propri patrimoni di 26.000 miliardi di dollari, accaparrandosi il 63% dell’incremento complessivo della ricchezza netta globale (42.000 miliardi): quasi il doppio della quota (37%) andata al restante 99% della popolazione mondiale.

“E’ stato dunque battuto – recita il rapporto – il record del decennio 2012-2021, quando il top-1% aveva beneficiato di poco più della metà (il 54%) dell’incremento della ricchezza planetaria. Inoltre, per la prima volta in 25 anni, aumentano simultaneamente estrema ricchezza ed estrema povertà”.

Il dato si rispecchia in Italia, dove la quota di famiglie in povertà assoluta è al 7,5% del totale ed è più che raddoppiata fra il 2005 e il 2021. E ora, a causa dell’alta inflazione, c’è una “grave erosione” del potere d’acquisto delle famiglie: gli adeguamenti salariali che non arrivano e i salari reali cadono del 6,6% nei primi 9 mesi 2022. “La pandemia prima e ora la crisi dell’energia, l’aumento dei prezzi – con un’inflazione mai così alta da oltre 35 anni – e i nuovi venti recessivi rischiano di esacerbare ulteriormente i divari di lungo corso che caratterizzano il nostro Paese”, avverte l’Oxfam.

Tappeto rosso fra le nevi bianche
Fra le figure pubbliche notate fra le nevi di Davos, una presenza nutrita delle istituzioni europee, dalla presidente della Commissione von der Leyen al suo vice Valdis Dombrovskis, dalla presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola alla Lagarde e a numerosi commissari. Per l’Fmi, c’è stata la presidente Kristalina Georgieva. Più discreta la presenza Usa: la rappresentante per il Commercio Katherine Tai, il segretario al Lavoro Martin Walsh, il negoziatore per il Clima John Kerry. Si fanno, però, notare Avril Haines, numero uno dell’Intelligence statunitense, e Christopher Wray, capo dell’Fbi.

Mancano, forse, grandi leader: pochi gli ‘special addresses’, von der Leyen, il premier spagnolo Pedro Sanchez, il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Assenti, come detto, russi e pure iraniani, c’è relativamente poco mondo arabo, Qatar a parte, mentre dal Brasile, dopo l’assalto alle istituzioni nella capitale, arriva Marina Silva, ministro dell’Ambiente, che promette di riprendere il contrasto alla deforestazione.

Le multinazionali non mancano, con i leader di colossi come Chevron, AB InBev, Google, Amazon, Intel, Paypal, Amazon. Per l’Italia, fra le imprese ci sono Eni, Enel, Illy, Merloni, Geox, Technogym e molte altre; fra le banche, Intesa Sanpaolo e Unicredit. Tutta la grande finanza è tornata a Davos con Blackrock, Goldman Sachs, Jp Morgan, Deutsche Bank e molte altre sigle importanti.

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