“Regolarizzazione dei migranti”, “cittadinanza stagionale per i contadini immigrati”, “bisogna raccogliere la frutta”. Siamo alle porte dell’estate e, tra tutti i problemi che ha portato l’emergenza Coronavirus, uno non era stato calcolato alla perfezione. Tra poco più di un mese la grande distribuzione organizzata avrà bisogno di frutta e verdura di stagione. Proprio la frutta e la verdura che ora è sui campi, per le ultime settimane prima della raccolta. La raccolta. Questo è il focus degli ultimi giorni. Tutti hanno detto la loro, contro o con il ministro Teresa Bellanova che ci prova, con tanta buona volontà, perché la terra la conosce bene.
Allora vi racconto una storia, per contestualizzare al meglio la polemica degli ultimi giorni sulle raccolte di frutta e verdura e sulla mancanza di manodopera generata dall’emergenza Coronavirus, che non permette a moltissimi lavoratori della terra originari di altri Paesi, di rientrare in Italia. La racconto per permettervi di capire al meglio il perché ci siano persone che preferiscono la disoccupazione o il reddito di cittadinanza piuttosto che lavorare la terra. Perché di questo si tratta: permettere agli “extracomunitari” di arrivare in Italia per fare uno dei lavori più duri che ci siano. Se loro non potranno arrivare a causa del Coronavirus e, allo stesso tempo, non verranno regolarizzati gli immigrati attualmente in Italia, da giugno nel supermercato potremmo saltare il reparto “freschi” perché tutto resterà nella terra. Perché gli italiani disoccupati di cui tutti si riempiono la bocca, a zappare la terra degli altri, per 30 euro al giorno (quando sono fortunati e contrattualizzati), non ci vanno. E io, alla fine, li capisco.
Ho la personale fortuna di essere nata e cresciuta in Abruzzo, nella Marsica, proprio ai margini della piana del Fucino, un piccolo paese vicino a Fontamara. Sì, la Fontamara di Ignazio Silone. Dalle mie parti quasi tutte le famiglie – per passione o tradizione – coltivano un pezzo di terra, grande o piccolo che sia. Nella maggior parte dei casi non è il lavoro che ci permette di vivere, pochi vivono di agricoltura, ma le tradizioni vanno rispettate. Quindi tutti i ragazzi della mia generazione sanno bene che no, non tutti sono adatti a certi lavori. Indipendentemente dalla buona volontà.
Ma la storia non è questa, la storia è quella dei finocchi (uso il finocchio come esempio, ma per l’insalata vale lo stesso).
La coltivazione industriale dei finocchi avviene due volte l’anno, a marzo (per raccogliere a metà giugno) e a fine giugno (per raccogliere a ottobre). Nel campo viene trasferita la piantina, non il seme. I campi vengono coperti da enormi teli bianchi per circa due mesi, poi a maggio i teli si alzano e tra una zappata e una pioggia (tanta pioggia o tanta irrigazione, perché il terreno non deve mai “spaccarsi”), per metà giugno inizia la raccolta.
Per arrivare nelle vostre cucine perfetto, lucido e senza neanche una piccola macchia, i finocchi non possono essere raccolti da macchinari, ma a mano e le persone addette devono essere sui campi all’alba perché c’è bisogno di estirpare il finocchio dalla terra quando c’è ancora la rugiada, la terra deve essere umida. Quindi si arriva che è ancora buio con un unico strumento di lavoro: un coltello. Si piega la schiena e si iniziano a tirare fuori i finocchi, uno alla volta.
Raccolta e prima lavorazione si fanno direttamente sul campo tra le 4:30 e le 8:00 del mattino, in modo che gli autotreni (si, devono riempirsi più autotreni in meno di 4 ore) possano partire puntuali per raggiungere lavaggi e mercati. Per far arrivare i finocchi nelle vostre cucine, questi addetti devono raccogliere tutti i giorni, con il caldo, il freddo, la pioggia, il vento. Indipendentemente da qualsiasi condizione metereologica o fisica.
Quando si parla di Fucino, “l’orto d’Italia”, si parla di dodicimila ettari di terreno coltivati, da cui partono – per tutta Italia – patate, carote, insalata, pomodori, finocchi, radicchio, rape, cavolfiori e molto altro. Con tutti i suoi problemi (tanti, perché tutto il mondo è paese), la piana del Fucino per oltre 7.300 persone rappresenta il lavoro stagionale, ovvero quello che inizia a giugno con finocchi e insalata e termina a ottobre con le patate. Più della metà di queste persone alla fine dei raccolti, con la schiena spezzata, torna nei paesi d’origine, dalle famiglie, con quel poco che hanno guadagnato con tanta fatica, per poi tornare in Italia, a lavorare, la primavera successiva. Il Made in Italy, di cui ci piace tanto vantarci, si fa anche qui e non solo con gli italiani.
Mio padre tutte le mattine attraversa i confini dei campi di finocchi. Mi ha confessato che gli si stringe il cuore solo a vedere quelle persone su quei campi. Mi ha detto che lui, che coltiva la terra da più di sessant’anni, non lo farebbe mai e mai ci manderebbe i suoi figli.
Ma insomma, a Fucino cercano 3.500 lavoratori. Giugno è alle porte, li volete i finocchi?
Articolo di Rossella D'Alessandro pubblicato su Il Giorno Dopo