Esteri
2022/23: Usa, Biden in fanfara, Trump in ginocchio allo snodo delle legislature
Di Giampiero Gramaglia
Il New York Times si chiede perché mai sembri che i democratici stiano sorprendentemente bene, in questo snodo tra 2022 e 2023 e tra una legislatura e l’altra, dopo avere ‘salvato’ la maggioranza al Senato, ma perso quella alla Camera. Lo stesso giornale si dà una serie di risposte, che possiamo riassumere così: perché i repubblicani stanno peggio di loro e perché Donald Trump non è forse mai stato peggio dal 2015, quando scese in politica, a oggi.
Al netto dell’annuncio shock, ma d’impatto modesto, della senatrice dell’Arizona Kyrsten Sinema, che lascia il gruppo dei democratici per collocarsi fra gli indipendenti – ma che continuerà a votare con i democratici -, il partito del presidente Joe Biden ha fatto incetta di buone notizie dopo il voto di midterm, nonostante la sua presa sui giovani si sia allentata.
Per i repubblicani, invece, divisi e incerti, le grane si susseguono: alla Camera, il loro capogruppo Kevin McCarthy non è sicuro di avere i 218 voti necessari per essere eletto speaker. Il fuoco amico degli oltranzisti ‘trumpiani’ potrebbe farglieli mancare: la maggioranza repubblicana è risicata, 222 seggi; e bastano cinque dissidenti a farla saltare – ‘aiutini’ dai democratici non ne può sperare -.
Tutti i guai di Donald Trump
Poi, ci sono tutti i guai di Donald Trump, che ha annunciato a metà novembre la sua ricandidatura alla nomination repubblicana 2024, ma che, nel frattempo, ha inanellato una serie di rovesci: dichiarazioni dei redditi di imminente pubblicazione e conclusioni della commissione d’inchiesta bipartisan della Camera sulla sommossa del 6 gennaio 2021 sono in primo piano.
La commissione suggerisce al Dipartimento della Giustizia di incriminarlo per diversi reati, fra cui insurrezione, ostruzione di una procedura ufficiale e cospirazione per frodare il governo degli Usa; e ne propone l’interdizione dai pubblici uffici. La raccomandazione potrebbe restare senza seguito, ma il rapporto finale pubblicato prima di Natale evidenzia le responsabilità del magnate presidente, e dei suoi sodali, nell’assalto al Campidoglio da parte di migliaia di facinorosi suoi sostenitori, che volevano costringere senatori e deputati a ribaltare l’esito delle elezioni presidenziali.
Il presidente della commissione, Benni Thomson, deputato del Mississippi, democratico, s’è detto “pienamente fiducioso che il lavoro fatto farà da ‘road map’ per la giustizia”. Il rapporto finale, cui s’è giunti dopo 18 mesi di lavori, decine di riunioni, centinaia di testimonianze, afferma che Trump fu “criminalmente coinvolto” in una “cospirazione a più componenti”.
Non è chiaro che cosa il Dipartimento di Giustizia, che sta indagando per conto suo sulla sommossa del 6 gennaio 2021, deciderà di fare: se perseguire o meno Trump. È possibile che calcoli politici influenzino le scelte giudiziarie, che finiranno con intrecciarsi con le presidenziali 2024. I media s’interrogano se un processo indebolisca o rafforzi il magnate, i democratici si chiedono se sia meglio colpirlo nella fase delle primarie o dopo o mai, una parte dei repubblicani spera che ciò avvenga prima delle primarie.
Dal canto loro, i repubblicani della Camera hanno pubblicato un loro rapporto sul 6 gennaio, che, invece, mette in risalto le carenze della sicurezza del Campidoglio e le inefficienze dell’intelligence nel condividere le informazioni sulla sommossa in preparazione. I tribunali ordinari hanno già fatto il loro lavoro, pronunciando diverse condanne sugli incidenti sanguinosi del 6 gennaio – vi furono almeno cinque decessi, fra cui un agente delle forze dell’ordine -.
Poi, c’è la questione delle dichiarazioni dei redditi, che il magnate non aveva mai voluto rendere pubbliche – rompendo con la tradizione – e che aveva strenuamente cercato di non rivelare. Dopo una sentenza definitiva della Corte Suprema, che ha suggellato una battaglia legale di quattro anni, le sue dichiarazioni degli ultimi sei anni sono state trasmesse a una commissione Ways and Means della Camera, che s’è impegnata a renderle pubbliche. La commissione ha anche accertato che l’Amministrazione fiscale fu benevola – e forse negligente – con Trump, rinviando alcuni controlli, durante la sua presidenza.
Come se 6 gennaio e dichiarazioni dei redditi non bastassero, anche la magistratura della Georgia sta per tirare le somme dell’indagine su Donaled Trump e sui suoi alleati, che, dopo le presidenziali 2020, cercarono di indurre le autorità statali a rovesciare il risultato dello Stato favorevole a Biden. E c’è l’inchiesta del Dipartimento della Giustizia sui documenti riservati destinati agli Archivi Nazionali e, invece, portati via dalla Casa Bianca e sequestrati a settembre dall’Fbi nella tenuta del magnate a Mar-a-lago in Florida – il NYT ha potuto accertare che o dossier classificati erano conservati senza alcuna protezione -. Infine, c’è l’inchiesta a New York su conti e fuffini della Trump Organization, la holding di famiglia.
Congresso: a fine corsa, risultati insperati
Fra i motivi di soddisfazione del presidente Biden, invece, a parte i risultati del midterm ed i crucci di Trump, c’è una serie di insperate decisioni del Congresso a fine corsa, col varo d’una finanziaria da 1.700 miliardi di dollari, che garantisce all’Amministrazione di potere fare fronte agli impegni fino a settembre e che consente di continuare a fornire assistenza economica e militare all’Ucraina sotto attacco da parte della Russia.
Biden ha inoltre firmato la legge che dà legalità federale ai matrimoni interrazziali e omosessuali, mettendoli al riparo da colpi di coda reazionari della Corte Suprema – la Costituzione del 1776, ovviamente, non ne fa cenno -. E dire che Biden, da senatore, votò contro la tutela federale dei matrimoni omosessuali e sostenne che il matrimonio doveva essere fra un uyomo e una donna, salvo poi ricredersi nel 2012, quando era già vice-presidente.
La legge sui matrimoni interrazziali e omosessuali ha trovato, sia alla Camera che al Senato, sostegno anche da parte di congressman repubblicani: c’era una preoccupazione in qualche misura bipartisan che la Corte Suprema a maggioranza conservatrice potesse revocare, dopo quella sull’aborto, tutele federali ad altri diritti ormai considerati acquisiti dall’opinione pubblica.
Così il Congresso “nato nel caos del 6 gennaio – osserva la Ap – si chiude con risultati positivi”. Altri media concordano: gli ultimi giorni del Congresso 2021/’22 confermano una tendenza emersa nel XXI Secolo, che le battute finali di una legislatura, una volta chiamate ‘lame-duck session’, possono essere le più produttive, forse perché – l’interpretazione è del Washington Post – deputati e senatori possono agire senza fare calcoli elettorali.
Biden: un anno in sordina finisce in fanfara
L’età avanzata (80 anni compiuti); l’aspetto fragile; le ripetute gaffes; il tasso di popolarità basso; e le difficoltà a fare approvare dalla sua maggioranza la sua agenda di politica interna ed economica: tutto pareva congiurare a fare di Biden l’agnello sacrificale delle elezioni di midterm negli Usa. E, invece, il presidente ne è uscito rafforzato, pur perdendo la Camera: erano 40 anni che un inquilino della Casa Bianca non se la cavava così bene al midterm. E il voto ha indebolito il suo arci-rivale Donald Trump.
A volere scommettere, oggi è più probabile che Biden sia il candidato democratico nel 2024 che Donald Trump il candidato repubblicano. E la guerra in Ucraina, in tutto ciò? C’entra poco: gli americani la seguono distrattamente. Ma nel conflitto Biden ha assunto il ruolo, se non la postura, di leader dell’Occidente, riuscendo a tenere allineati in scia Gran Bretagna e Giappone, Francia e Germania, Canada e Australia: lui e tutti quanti dietro Zelensky e contro Putin. Il colpo d’ala sarebbe trasformarsi, nel 2023, da leader di guerra a leader di pace.