Politica
Le sfide del nuovo anno per centrodestra e centrosinistra
Di Daniele Capezzone
Ogni fine d’anno è per definizione un momento di bilancio: ma pure, ed è la cosa più importante, di fissazione di nuovi obiettivi, di risistemazione – auspicabilmente un poco più in alto – della proverbiale asticella.
Chi scrive è stato tra coloro che hanno salutato con entusiasmo la novità del 25 settembre scorso: e cioè, a prescindere dalla vittoria del centrodestra, il fatto che si sia tornati a una chiara maggioranza politica, alla fine della troppo lunga stagione di governi ibridi, semitecnici, più o meno commissariali.
È stata una conquista importantissima. Si dirà: è stato solo un sano ritorno alla normalità. Ma quando quella normalità era stata smarrita per un tempo troppo lungo, fatto di anestesia tecnica e sonnambulismo politico, il solo fatto di averla ripristinata è stato benefico, salutare, fecondo.
Significa aver ridato un senso al voto, alla volontà degli elettori (troppo a lungo confusa con un mero sondaggio), e aver ricreato un legame tra kratos e demos, tra l’esercizio del potere e la sua fonte costituzionale, cioè il popolo.
Ora però occorre che le forze politiche, gli attori della democrazia parlamentare, si rivelino all’altezza del bene che hanno contribuito a riconquistare. Troppi – dentro e fuori i palazzi romani – non vedono l’ora di poter dire che l’Italia non può permettersi ciò che caratterizza le altre democrazie, che siamo un paese “bambino” che va preso per mano, che questa politica non è in grado di fronteggiare le sfide del nostro tempo. E dunque – ecco il punto di caduta – che occorre tornare, in una forma o nell’altra, al semicommissariamento, o attraverso l’incombente cappa del vincolo esterno, o comunque riducendo il margine di azione del governo in nome di “paletti”, “obblighi” e “compatibilità” di varia natura.
Un compito speciale è quello che grava sulle spalle di Giorgia Meloni, prima depositaria di un capitale di fiducia che appare non solo intatto, ma addirittura in crescita rispetto al 25 settembre. È chiaro che la leader di Fratelli d’Italia deve far tesoro di ciò che ha, anche in termini di risorse umane: una nuova classe dirigente non si costruisce nemmeno in un decennio, figuriamoci in qualche mese. E però sta a lei, un po’ attraverso le persone di cui si fida di più e un po’ allargando lo spettro delle collaborazioni, dare l’idea che il volante sia in mani sicure. Non si tratta – questo sarebbe perfino controproducente – di cercare il consenso di tutti: ma, questo sì, di trasmettere l’idea di avere una direzione di marcia, una traiettoria da seguire (qui, com’è noto, si auspica il trinomio “meno tasse-meno sprechi-meno debito”). Insomma, di non volersi accontentare della gestione dell’esistente, dell’amministrazione di ciò che oggi già c’è.
Ma un compito altrettanto importante è quello che investe le opposizioni, a partire dal Pd. Il Partito democratico sconta mali terribili, che ha avuto il torto di non diagnosticare per tempo: l’essere stato troppo a lungo al potere senza consenso, e l’essersi collocati su un piedistallo di presunta superiorità morale. Oggi, il potere è svanito, il consenso ai minimi, il pulpito etico perfino ridicolizzato. Non è facile ricominciare su basi di realtà, umiltà e rapporto con una parte di paese: ma è ciò che la sinistra deve fare, ben al di là della scelta di un nuovo segretario. In un tempo ragionevole, pure la sinistra deve tornare a proporre agli italiani un’offerta politica alternativa e competitiva, auspicabilmente di segno riformista, e non ipotecata né dal giustizialismo né dall’antica tendenza a essere “partito delle tasse”.
È molto importante che i due maggiori schieramenti siano in grado di mettere in campo le loro squadre migliori, e che appaiano credibili, robusti, affidabili, capaci di farsi alternativamente carico della prova di governare un grande paese. Se lo faranno, si potrà magari fisiologicamente dissentire dall’una o dall’altra proposta politica della destra o della sinistra; se non lo faranno, saranno le tentazioni commissariali a riproporsi. E non sarà una buona notizia per l’Italia. Buon 2023, dunque.