Unire i puntini è fin troppo elementare. Le mosse dietro le quinte di Massimo D’Alema e Goffredo Bettini, il riposizionamento di giornali influenti come Stampa e Repubblica, la fragilità della leadership uscente del Pd: tutto converge affinché vada in porto una scontata autoconsegna dem alle parole d’ordine grilline.
Lo stesso Pd che, per tutta la campagna elettorale, pur timidamente, aveva sostenuto la necessità di rivedere il reddito di cittadinanza, ora difende invece a corpo morto il sussidio grillino. Lo stesso Pd che, stando al governo, aveva mantenuto un posizionamento geopolitico saldamente atlantista, ora oscilla tra il mantenimento di quella linea e l’adesione alle posizioni tout-court “per la pace”. Lo stesso Pd che, almeno a parole, predicava riformismo, ora si accoda senza tanti problemi alla linea massimalista del M5S che non esita a bollare le azioni del governo con etichette estreme: si pensi solo alla scelta di qualificare come “disumano” (sic) il mero proposito governativo di un intervento (peraltro minimalista) di ridimensionamento del reddito di cittadinanza.
Su queste basi, ha buon gioco il Fatto quotidiano a spargere sarcasmo su chi, da sponde Pd, aderisce tardi e frettolosamente a questo tipo di piattaforma pentastellata. E non è più solo questione di preferibilità dell’originale rispetto alla fotocopia: siamo in presenza di un’”opa” grillina che è già in corso avanzato di realizzazione.
Da questo punto di vista, la domanda che il Pd dovrebbe porsi è: sondaggi a parte, qual è il “sense of purpose”, qual è la “mission” che i dem vogliono darsi? Perché un elettore dovrebbe scegliere loro e non il Movimento 5 Stelle? Cosa dovrebbe uscire dal percorso congressuale del Pd al di là di un nuovo segretario?
Finora abbiamo sentito risposte vaghe e non convincenti, oltre a un assolutamente legittimo – ma un tantino sbiadito – orgoglio di partito. E però – in termini culturali, prim’ancora che politici – si fatica a cogliere una differenza, meno che mai un’alterità reale e distinguibile, che sia percepita da coloro che non siano già ultraconvinti elettori dem.
Sta qui la posta in gioco. In mancanza di questo, di un quid pluris, o almeno di una diversità rispetto al partito di Conte, è scontato l’esito della partita su chi sarà il soggetto trainante dell’opposizione. E, a ben vedere, diventa opportuno un esame retrospettivo della scommessa iniziata nell’estate del 2019, quando il Pd, temendo una sconfitta elettorale in caso di elezioni politiche anticipate dopo la caduta del Conte uno, fece di tutto per evitare lo scioglimento delle Camere e si adattò al Conte due. Il retropensiero era: in poco tempo sarà il Pd a trasformare i grillini in “cespugli” sotto l’antica quercia Pds-Ds. Sta accadendo l’inverso.