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Combattere la povertà assoluta. Intervista con Giovanni Bruno, presidente Fondazione Banco Alimentare

21
Novembre 2022
Di Pietro Cristoferi

In Italia oltre 5 milioni e mezzo di persone vivono in povertà assoluta e con la crisi energetica potrebbero aumentare. Strano, ma vero. La fonte è più che autorevole: sono stime che vengono dalla Fondazione Banco Alimentare, un ente che da oltre 30 anni si occupa di distribuire i beni alimentari in favore dei più bisognosi e che, di conseguenza, rappresenta il termometro più affidabile in Italia su questo problema. Un problema che sembra remoto, ma che invece è molto attuale. Solo dall’inizio della pandemia ad oggi, infatti, le persone povere, quelle, per capirci, che hanno problemi a garantirsi un pasto sicuro, sono aumentate di un milione. E anche per sensibilizzare la comunità e le istituzioni a questa emergenza ogni anno si celebra la Giornata nazionale della colletta alimentare, quest’anno prevista il 26 novembre. «Un momento di condivisione, di carità che richiama tutti alla condizione della costruzione del bene comune», dice il presidente della Fondazione Giovanni Bruno. Ma è anche un’occasione per riaccendere i riflettori sull’importanza del terzo settore e mandare un segnale alla politica. 

Partiamo dalle origini, come nasce il Banco alimentare?
«L’esperienza del Banco Alimentare nasce nel 1989, prendendo lo spunto da un’esperienza spagnola di Barcellona che a sua volta riprendeva un’esperienza francese e prima ancora di origine americana del 1967. Da appena nato riceve subito due appoggi, uno del Cavalier Fossati, patron della Star che aveva il desiderio di restituire alla società quanto ricevuto tramite opere di carità e l’altro di Don Luigi Giussani che è stato l’iniziatore del movimento di Comunione e Liberazione, il quale viveva il tema della preoccupazione educativa e vedeva in questa idea un’iniziativa di aiuto e di educazione». 

Questo impegno concreto come è investito oggi nell’affrontare le povertà e nello stare vicini alle classi sociali più deboli della nostra società? 
«Grazie proprio al sostegno all’epoca dato da questi due esponenti, uno imprenditore l’altro un sacerdote, si è generata quest’opera per i più deboli. Una realtà, quella del Banco alimentare, che oggi è presente in tutta Italia in tutte le regioni con 21 banchi. La caratteristica principale è quella di servire enti e strutture caritative e non di arrivare direttamente al povero. Questo oggi permette che ci siano 7.600 strutture caritative accreditate con il Banco, le quali sostengono oltre 1.700.000 persone. Il cibo che distribuiamo ha superato le 120.000 tonnellate lo scorso anno e contiamo di confermare questa cifra anche per quest’anno. Di queste 46.000 sono le tonnellate recuperate dalla grande distribuzione che non sono diventate scarto ma sono state utilizzate per chi ha bisogno. Inoltre, vi sono poi oltre 10.000 tonnellate donate in particolare durante la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare che quest’anno si terrà il 26 novembre per la ventiseiesima volta. Le restanti tonnellate vengono dalla gestione dei prodotti derivanti dai fondi europei e nazionali istituiti con lo scopo di aiutare i bisognosi e poi consegnati agli enti caritativi. Il recupero, lo stoccaggio e la distribuzione avvengono gratuitamente. Per far questo contiamo sull’impegno di 190 dipendenti e di circa 1.900 volontari stabili».

Il conflitto in Ucraina ha riacceso l’emergenza alimentare. Qual è stato il vostro impegno nei confronti della popolazione coinvolta dal conflitto e quali sono state le azioni messe in campo?
«Come realtà italiana apparteniamo e diamo il nostro contributo alla Federazione Europea dei Banchi Alimentari (FEBA) che oggi conta 340 banchi in 30 paesi, più dei paesi dell’Unione europea. Proprio per questa storia la nostra decisione è stata quella di sostenere da subito le iniziative della FEBA con una raccolta fondi perché era lo strumento più agile anche per affrontare i bisogni principalmente logistici dell’Ucraina e soprattutto affrontare la grossa emergenza dei profughi. In qualche milione sono usciti dall’Ucraina e si sono posizionati nei paesi confinanti. Abbiamo quindi sostenuto i banchi dei paesi confinanti, penso alla Polonia, all’Ungheria alla Moldavia. Successivamente l’intervento diretto dei banchi alimentari in Italia è stato quello di sostenere i profughi che arrivavano incrementando gli aiuti alle strutture caritative. Abbiamo registrato circa 15.000 interventi in più già dai primi momenti dello scoppio del conflitto ucraino. A questo si è aggiunto che poi sono aumentate anche le difficoltà per gli italiani e i nostri numeri sono ancora cresciuti».

In Italia si stima che vi siano già oltre 2 milioni di famiglie che vivono in condizioni di povertà assoluta, a questo si è aggiunta l’inflazione e la crisi energetica. Qual è la situazione che stima vi troverete ad affrontare?
«Si è determinata una congiuntura particolare. Da una parte le persone in povertà assoluta, che significa non riuscire a soddisfare i bisogni primari in un modo soddisfacente. Per fare un esempio concreto significa che in una città come Milano era stato calcolato che circa 20.000 bambini facevano l’unico pasto regolare alla refezione scolastica. In Italia sono 5.600.000 le persone in povertà assoluta, con la pandemia sono cresciute di un milione. Dati ISTAT poi ci dicono che ci sono 8 milioni e 800 mila persone in povertà relativa, ciò significa che hanno un reddito ma inferiore alla possibilità di consumi medi. Per queste persone è abbastanza evidente e facile intuire che se le bollette triplicano, se le rate dei mutui aumentano, se il carrello della spesa cresce del 13% e i prodotti alimentari sono la cosa che è aumentata di più, molti passeranno dalla povertà relativa a quella assoluta e quindi registreremo degli incrementi. Sono fenomeni che vediamo già da qualche mese, vengono già registrati: aumenti dei consumi degli acquisti nei c.d. discount, per risparmiare il più possibile e inoltre l’aumento delle persone che, anche saltuariamente, si rivolgono alle strutture caritative. Ultimamente arrivano richieste anche attraverso i social da persone che dicono la classica frase: “non chiedo per me ma per un amico”. In parte è vero, in parte noto una difficoltà a chiedere. Noi abbiamo registrato, oltre al milione e mezzo di persone che già si rivolgono alle strutture caritative stabilmente, dopo l’Ucraina e con questo incremento dei costi dei beni alimentari circa 80-85 mila persone in più». 

Si parla molto di sostenibilità nell’ultimo periodo, sostenibilità ambientale, sociale ed economica; voi che siete una realtà che porta avanti una battaglia per uno stile di vita chiaramente sostenibile quali pensate siano le strategie che possiamo adottare nel nostro quotidiano per ridurre lo spreco alimentare? E soprattutto cosa chiedete al mondo delle imprese della distribuzione e del food nella lotta agli sprechi?
«Abbiamo fatto qualche tempo fa un convegno proprio su questo tema. Insieme al Politecnico abbiamo lanciato uno studio su base triennale per cercare di comprendere meglio dove sta andando il mondo delle eccedenze. Sappiamo bene che c’è una quota di eccedenze che è difficile recuperare, ad esempio quelle che si verificano nei campi; vi è poi una quota che le realtà come il Banco Alimentare possono recuperare nella fase di lavorazione dell’industria agroalimentare e una quota irrecuperabile che sta nelle nostre abitudini alimentari. Per le prime due con lo studio che portiamo avanti vogliamo capire insieme al mondo dell’industria agroalimentare e della GDO come stanno cambiando le cose e come occorre attrezzarsi per recuperare sempre di più e sempre meglio. Sulle nostre case vedo una grande necessità di educazione, direi proprio di educazione all’uso delle cose. In questo speriamo che non arrivi mai il momento in cui saremo costretti a diventare virtuosi per forza». 

Ad esempio?
«Ad esempio il diffondere la consapevolezza che sono due cose diverse la dicitura “scade il” e “scade preferibilmente entro”. Questa seconda significa che quello che hai nel frigo lo puoi mangiare. Anche il pepe ha una scadenza ma non fa male se lo mangi dopo il “preferibilmente entro”, chiaramente perde qualche caratteristica ma non nuoce. E poi la consapevolezza sul sistema degli acquisti: tante volte si fanno scorte e si dimentica di avere le cose nel frigo. Avere questa consapevolezza significa diffondere un tipo di cura che si ha nei confronti delle cose e questo è importante recuperarlo. Con la grande distribuzione occorre sempre più collaborare, creare maggiori sinergie e scambio di informazioni affinché l’eccedenza alimentare sia sempre meno una sconfitta per l’azienda ma sempre di più una parte del processo da mettere in conto per cui si deve capire anche come utilizzarla».

Possiamo dire dallo scarto un valore?
«No, dall’eccedenza un valore. La parola scarto è l’ultima da usare, lo scarto è eccedenza che ha perso valore. Il recupero delle eccedenze è proprio per evitare la cultura dello scarto». 

La politica nel 2016, grazie anche all’iniziativa dell’On. Gadda, ha approvato una legge contro gli sprechi e per il recupero delle eccedenze, cosa chiedete oggi alle istituzioni?
«Dal punto di vista della Legge Gadda si può dire che è un esempio di una buona legge, è giusta così com’è nell’impianto, inoltre con il tempo è stata aggiornata e sono stati aggiunti prodotti (libri, vestiti, scarpe ecc). Alcune cose possono essere modificate perché si potrebbero ad esempio incrementare alcune agevolazioni fiscali. A livello di norme non è bene semplificare troppo perché un requisito fondamentale è la tracciabilità dei prodotti perché si tratta di alimenti e ne va del bene di chi riceve il cibo».

Quali pensate che siano le esigenze del terzo settore che ritenete indispensabili affrontare anche sotto il profilo politico-legislativo nei prossimi anni? 
«Una cosa: che il terzo settore sia normalmente considerato nei radar della politica, che non compaia solo nell’emergenza per iniziativa sua. Ci si accorge che c’è e si mette in piedi qualcosa per sostenerlo, accade poi che ci si dimentica, come stava succedendo con il Decreto Aiuti-ter, e si deve intervenire con gli aiuti sull’energia. Fortunatamente all’ultimo è stata inserita una norma specifica anche per il terzo settore, questa misura però dobbiamo ancora capire e sapere come funziona. Quello che si chiede è che cresca la consapevolezza che il terzo settore è terzo ma non ultimo, perché è assolutamente essenziale per la realtà del nostro Paese. Molto spesso sono gli stessi funzionari dei ministeri che ci dicono che il nostro impegno costituisce per lo Stato un elemento che dà efficienza al loro lavoro, difficilmente arriverebbero a sostenere chi ha bisogno se lo Stato dovesse farlo da solo. Si parla tanto di co-programmazione e di co-progettazione allora queste idee partano e si mettano in una logica sussidiaria che deve diventare la normalità. Nella normalità della considerazione delle problematiche, degli attori presenti nella nostra società, così come si tiene in considerazione l’industria, i professionisti, i lavoratori, si abbia ben presente la realtà del terzo settore che non è assolutamente secondaria nel nostro Paese».

E quali sono le vostre aspettative con l’attuale establishment politico?
«Non interpreto le esigenze dell’intero terzo settore, ma come Banco Alimentare quello che chiediamo a questo governo è quello che chiediamo a tutti i governi: l’apertura e la considerazione nei nostri confronti, ma soprattutto un’attività e scelte politiche fatte in una logica sussidiaria: valorizzare e cercare di far crescere ciò che già c’è. Uno stato non protagonista di tutto evitando la tentazione di utilizzare servizi che si pensa siano a costo zero».

Cioè?
«Mi permetto di fare una battuta talvolta quando la politica dice che il terzo settore è “impagabile” troppo spesso lo intende alla lettera cioè che non si paga».

Quindi il 26 novembre, come storicamente avviene da anni nell’ultimo sabato di novembre, sarà la giornata nazionale della Colletta alimentare, ci spiega cos’è e qual è l’invito che si sente di fare per questa giornata così importante?
«Quest’anno la 26° colletta alimentare si tiene in circa 11.000 supermercati in Italia, con oltre 140.000 volontari coinvolti. Ha visto partecipare 4 milioni e 800.000 donatori in questi ultimi anni. È importante per noi da un punto di vista del cibo che viene raccolto, ma è soprattutto un momento di condivisione con tante persone, con volontari di tutti i tipi, un popolo che partecipa in tutte le sue espressioni. È il segno di un coinvolgimento minimo il comprare qualcosa per qualcuno, anche una scatoletta di tonno: un gesto di condivisione, di carità, che richiama tutti alla condizione della costruzione del bene comune. Questa costruzione passa dalla solidarietà, dal concepirsi sempre di più come parte con gli altri. Il Papa durante la pandemia ci ha detto che dal contesto pandemico si usciva o migliori o peggiori e che il modo per uscirne migliori è quello della solidarietà».

Perché proponete un gesto come quello di comprare qualcosa per qualcuno e non una raccolta fondi?
«La forza della Colletta Alimentare è il gesto, è importante dirlo perché questo lo rende accessibile a tutti, non ci sono discorsi ma un gesto, sei chiamato ad un gesto e questo è anche il modo più efficace per incontrare le persone. Sul sito del Banco Alimentare ci sono tutte le informazioni per partecipare per cui il 26 tutti a fare la Colletta, tutti a fare questa esperienza: mettere a disposizione il proprio tempo, oltre che la scatoletta di tonno, è importante».

Info: https://www.colletta.bancoalimentare.it/