Esteri
G20: l’escalation della guerra domina i lavori, Biden vede Xi
Di Giampiero Gramaglia
L’escalation della guerra in Ucraina, che, con i frammenti di missile caduti in Polonia, sfiora l’allargamento ai Paesi della Nato, domina, e quasi monopolizza, l’attenzione dei leader del G20, riuniti a Bali in Indonesia senza Vladimir Putin. Il presidente russo diserta il Vertice, forse perché avverte aria d’isolamento, e delega a rappresentarlo il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, che se ne va al termine della prima giornata, non prima di avere respinto il piano di pace in dieci punti presentato dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, per il quale “è ora di fermare la guerra”. Lavrov replica accusando Kiev di rifiutarsi di negoziare – alle condizioni dei russi – e attribuendo agli americani la responsabilità dell’inizio del conflitto.
I Paesi del G20, la cui agenda è per il resto intessuta di rituali discussioni su situazione economica, tecnologia, sanità e cambiamento climatico, chiedono la fine della guerra e il ritiro dei russi. Appelli, per altro, destinati a rimanere inascoltati, a testimonianza dell’inefficacia di questo foro, senza poteri e senza coesione.
A drammatizzare il contesto ucraino dell’appuntamento indonesiano, è la notizia delle due vittime polacche dei frammenti di missile caduti in una zona rurale alla frontiera ucraina. L’episodio, che deve essere chiarito – forse un errore o russo o ucraino; o la tragica conseguenza dell’intercettazione di un missile russo da parte della contraerea ucraina -, fa salire di molto la tensione e agita lo spettro del ricorso da parte della Nato all’articolo 5 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che mette in moto la solidarietà di tutti i Paesi alleati a favore di quello attaccato. “Difenderemo il territorio atlantico fino all’ultimo centimetro”, è il mantra ripetuto dalle fonti statunitensi.
A Bali, c’è una riunione d’emergenza dei Paesi del G7 e della Nato presenti al Vertice. Il presidente Usa Joe Biden giudica “inconcepibile” l’escalation del conflitto, con i bombardamenti di martedì sulle città ucraine, durante il G20. Tutti i leader sono concordi nel volere un’indagine approfondita su quanto successo, mentre Kiev e Mosca si accusano a vicenda; molti chiamano il premier polacco Mateusz Morawiecki.
Un comunicato diffuso dopo l’incontro G7 / Nato afferma: “Condanniamo i barbari attacchi missilistici che la Russia ha perpetrato martedì su città e infrastrutture civili ucraine”. Quanto “all’esplosione avvenuta nella parte orientale della Polonia, vicino al confine con l’Ucraina, offriamo il nostro pieno sostegno e assistenza alle indagini in corso: siamo d’accordo di restare in stretto contatto per determinare i passi successivi appropriati man mano che le indagini procedono”.
“Ribadiamo – continuano i leader – il nostro fermo sostegno all’Ucraina e al popolo ucraino di fronte alla continua aggressione russa”, confermando la responsabilità della Russia “negli sfacciati attacchi alle comunità ucraine”, anche durante il G20. “Esprimiamo tutti le nostre condoglianze alle famiglie delle vittime in Polonia e Ucraina”.
I lavori del G20 e i bilaterali
Dopo la riunione con gli alleati a margine del G20, e prima di ripartire da Bali per Washington, Biden dice: «Ci sono state ondate e poi ondate di missili in Ucraina, che continuano a testimoniare la brutalità e la disumanità che la Russia ha mostrato contro i civili e le infrastrutture ucraine. Ma allora perché ci riuniamo?». Non è il solo a chiederselo, in effetti.
All’esordio nel ruolo in un Vertice multilaterale, il premier italiano Giorgia Meloni, l’unica donna nel consesso dei leader, ha un lungo colloquio con il presidente Usa Joe Biden, vede i presidenti cinese Xi Jinping e turco Racep Tayyip Erdogan e ha numerosi altri contatti, tra una plenaria e l’altra.
«Fermiamo la guerra! Lo ripeto: fermiamo la guerra!». Con queste parole il presidente indonesiano Joko Widodo ha aperto, mercoledì mattina, la terza e ultima sessione di lavoro del G20, dedicata alla digitalizzazione, dopo che le delegazioni avevano visitato la foresta di mangrovie Hutan, dove ciascuno ha simbolicamente piantato una nuova pianta.
E’ stato uno dei momenti scenografici dell’edizione indonesiana del G20, che, guerra a parte, aveva poca sostanza. Un altro momento forte era stato l’arrivo dei leader al Garuda Wisnu Kencana, dove erano stati allestiti i tavoli per la cena di gala: gli ospiti si sono presentati con gli abiti tradizionali indonesiani, camicia sgargiante per gli uomini e scialle per le donne – Biden, però, non c’era, forse per evitare di sovraffaticarsi -. Il G20 è anche questo, se non soprattutto questo: una mescolanza e, magari, un ponte fra il mondo che fu (a trazione euro-atlantica) e quello che verrà – e forse c’è già – (a trazione asiatica). Solo il principe saudita Mohammed bin Salman, che rappresenta un terzo polo, non ha accettato il codice vestimentario ed è apparso con la sua tunica d’ordinanza – suscitando non poche critiche in sala stampa, ci racconta l’inviato dell’ANSA Mattia Bernardo Bagnoli -.
Un Biden rigenerato incontra uno Xi confermato
Recrudescenza della guerra in Ucraina a parte, il piatto forte di questo G20 è il bilaterale tra Biden e Xi, che lo precede. Le elezioni di midterm restituiscono alla politica internazionale un Biden più forte e subito diplomaticamente attivo: il presidente Usa, uscito rilegittimato dal voto, fa tappa verso Bali alla Cop 27 in Egitto e al vertice dell’Asean in Cambogia. Lui e Xi, causa pandemia, non s’erano mai incontrati di persona da quando Biden è presidente, ma avevano avuto colloqui virtuali.
Nell’analisi dell’Ap e di vari altri media Usa, le elezioni di midterm dell’8 novembre hanno segnato un ritorno all’ordine democratico negli Stati Uniti, dopo l’insurrezione del 6 gennaio 2021, quando migliaia di facinorosi istigati dall’allora presidente Donald Trump diedero l’assalto al Campidoglio nell’intento di costringere il Congresso a rovesciare il risultato delle presidenziali. Non ci sono stati incidenti durante e dopo il voto; e molti dei candidati che contestavano la legittimità delle elezioni del 2020 hanno perso senza creare ulteriori tensioni.
Resta da vedere se la calma si manterrà negli Usa. E se l’Amministrazione Biden saprà profittarne per fare avanzare la pace e la distensione nel Mondo. Intanto, ha già segnalato le sue priorità, che possono deluderci, ma non sorprenderci: l’Asia e la competizione economica con la Cina, piuttosto che la pace in Ucraina e i timori dell’Europa, nonostante i quali il fronte occidentale anti Russia e pro Ucraina pare tenere, incoraggiato dai successi della controffensiva di Kiev e dalla brutalità dell’escalation di Mosca.
A Bali, Biden fa anche conoscenza diretta coi suoi nuovi interlocutori europei: Meloni e il premier britannico Rishi Sunak. Il presidente non ha ancora deciso se ricandidarsi nel 2024, ma è sicuramente rinvigorito – ne aveva bisogno – dal flop nel midterm di Trump, che invece ufficializza, in parallelo al G20, la ricandidatura alla nomination repubblicana a Usa 2024.
Il colloquio tra Biden e Xi è importante perché c’è stato e perché i due leader non hanno litigato, ma hanno anzi condiviso generiche affermazioni sui massimi sistemi: “non c’è bisogno di una nuova Guerra Fredda”, tanto meno mentre se ne combatte una vera; ci vuole cooperazione internazionale sul clima, la sanità, la sicurezza alimentare di un Pianeta che ha appena superato imprudentemente gli otto miliardi di abitanti.
Le differenze, però, restano, anche se l’accento non cade su di esse: la concorrenza economica e commerciale, il rispetto dei diritti umani, la sicurezza di Taiwan che per Pechino è parte integrante del territorio cinese (e di cui Washington tutela l’indipendenza). Dall’incontro con Xi, Biden esce convinto che un’invasione dell’isola non sia imminente – ma questo forse già lo sapeva -.
I due leader sottolineano entrambi la disponibilità a ‘riparare’ le relazioni bilaterali, che sono scese al punto più basso negli ultimi cinquant’anni: a ‘danneggiarle’, oltre che le tensioni su Taiwan, cui gli Stati Uniti hanno contribuito con una serie gratuita di provocazioni diplomatiche, sono l’insidia della Cina al primato tecnologico Usa, le divergenze sulla guerra in Ucraina e le differenti visioni dell’ordine mondiale.
Sulla guerra, Pechino denuncia la violazione della sovranità territoriale ucraina, ma non adotta misure anti-russe e anzi chiede che si tenga conto delle preoccupazioni di sicurezza di Mosca, defilandosi dal ruolo di mediatore che l’Occidente vorrebbe si assumesse. Sull’ordine mondiale, Xi e Putin condividono la prospettiva di un pianeta non unipolare, in cui l’Occidente abbia un ruolo meno egemone.
Biden, che dà un giudizio positivo della posizione cinese contro il ricorso all’arma nucleare, cerca di allargare il cuneo tra Pechino e Mosca che, a suo giudizio, s’è recentemente creato; e sollecita Xi a frenare le “peggiori tendenze” del leader nord-coreano Kim Jong-un. La Cina giudica le relazioni con la Russia “solide” e vuole “portarle avanti costantemente nella giusta direzione”.
Gli Stati Uniti tengono la sordina diplomatica, almeno finora, sulla ricerca di un negoziato per fare cessare l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, mentre l’Europa è sempre più preoccupata per l’impatto che il protrarsi del conflitto ha sulla vita dei cittadini, tra aumento dei prezzi e carenza di prodotti energetici.
Un fronte anti-Cina asiatico-americano
La stretta di mano di Bali non risolve i problemi; nella migliore delle ipotesi, crea un presupposto per affrontarli insieme, senza cancellare le reciproche diffidenze. Solo due giorni prima, Biden aveva proposto un patto anti-Cina ai Paesi dell’Asean riuniti a Phnom Penh: pieno appoggio Usa, cioè, a Birmania, Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malaysia, Singapore, Thailandia, Vietnam, se essi decideranno di contrastare il crescente predominio cinese nella loro Regione.
Il discorso di Biden non era certo l’approccio più morbido all’incontro con Xi, fresco di rielezione al terzo mandato: “Insieme – dice Biden ai leader dell’Asean, alcuni dei quali alleati di Pechino –, costruiremo una regione Indo-Pacifica libera e aperta, stabile e prospera, resistente e sicura”.
Xi era intervenuto al Vertice di Phnom Penh prima di Biden e non era presente al suo discorso: Ma, fra i Paesi dell’Asean, ve ne sono che hanno ottimi rapporti con Pechino e almeno uno, il Vietnam, che condivide in pieno il modello cinese di dinamicità economica in un contesto politico dominato da un partito unico.
«Insieme – dice Biden ai leader dell’Asean – affronteremo i grandi temi del nostro tempo, dal clima alla sanità… Costruiremo una regione Indo-Pacifica libera e aperta, stabile e prospera, resistente e sicura».
E l’Europa, in tutto ciò? La Casa Bianca considera la Cina il maggiore rivale, economico e militare, degli Stati Uniti nel XXI Secolo; e il Pacifico è l’oceano del confronto. In questo contesto, l’Alleanza atlantica e l’Unione europea sono puntelli utili e persino necessari, per mantenere solido il fronte occidentale e contenere le mire russe; ma non possono attendersi lo stesso livello d’attenzioni statunitensi dei tempi della Guerra Fredda. Invece di sentirsi orfani, gli europei devono ricavarne lo stimolo a rafforzare la loro coesione e cooperazione, anche sui temi della sicurezza, della difesa e della presenza internazionale.