Politica
La ‘libromachia’. Nel Pd ci si fa la guerra anche a colpi di libri
Di Ettore Maria Colombo
Nel Pd, oltre che menarsi, amano scrivere…
Nel Pd – come ormai sanno anche i sassi – se le stanno dando di santa ragione. Il congresso anticipato, ormai, è alle porte (si terrà a marzo del 2022, il ‘percorso’ congressuale è iniziato, con tanto di regolamento varato in Segreteria) ma pure le alleanze, in vista delle prossime elezioni regionali, sono un bel busillis. Un dramma, in realtà, dato che si parla, di fatto, di sconfitte annunciate (Lombardia, soprattutto, ma anche Lazio, per non dire di Friuli e Molise), come vedremo meglio un poco più avanti.
Solo che – insomma, vivaddio! – una vecchia propensione all’intellettualismo cogitabondo non manca mai, anzi: forse è l’ultima eredità del caro, vecchio, Pci che ancora si mantiene in vita. E la torsione da intellettò gauchiste engagé è sempre quella, ben vivida, sempre ben presente. Insomma, se non scrivi almeno un libro, non sei nessuno. Di certo, non puoi diventare segretario.
Ecco che, dunque, nel Pd, scrivono, scrivono… Lettere aperte, saggi, articoli, comunicati stampa e, anche, si capisce, libri. Ponderosi saggi politici che, in buona sostanza, nessuno legge (il solo libro di politica che fa furore nelle classifiche librarie resta quello di Giorgia Meloni), ma che tornano sempre utili per ‘fare’ battaglia politica. Ora, al netto della – poco nota ma decisiva – battuta di Massimo Troisi (“Perché lei non legge? Vede, non sono io che non leggo, sono quelli che sono centinaia a scrivere, e scrivono, scrivono, ma loro sono centinaia a scrivere e io, invece, sono sempre uno solo, a leggere…”), resta che fioccano, come se piovessero, anche le presentazioni di libri che i dirigenti dem – candidati e non alla prossima segreteria del partito – amano scrivere. Un libro, insomma, torna sempre utile per ‘posizionarsi’, nel dibattito politico interno, e pure per raccogliere ‘fedeli’, cioè lettori che si tramutano in simpatizzanti e – si spera, è la pia illusione – in voti congressuali.
Il libro di Nardella, fiorentino ‘trapiantato’
Oggi, per dire, si terrà, alla sede della Stampa estera (di solito, alla Stampa estera, si presentano candidati premier, premier, leader di partito, ministri, insomma gente che conta, ecco…), la presentazione del nuovo libro del sindaco di Firenze (e da due mandati), Dario Nardella. S’intitola “La città universale”, lo pubblica La nave di Teseo, prestigiosa casa editrice di Elisabetta Sgarbi, consta di ben 400 pagine, che sono tante, costa appena 19 euro (ma su Ebay già si trova a sconto), è fresco di stampa e – recita la quarta di copertina – parla del medesimo Dario Nardella. Il quale è tutto che fiorentino, essendo nato a Torre del Greco, vicino Napoli, nel 1975, ma insomma fiorentino lo è ‘diventato’ già a 14 anni, quando si è trasferito nella città dei Medici (e Machiavelli, e Dante, Boccaccio, etc. etc. etc.). A Firenze Nardella ha frequentato il liceo, l’università e il conservatorio (il sindaco sa suonare il violino, ed è pure bravo, a farlo), a Firenze è cresciuto e di Firenze è diventato sindaco, nel 2014, solo che è arrivato al secondo mandato, quasi alla sua fine (scade nel 2022), ergo occorreva inventarsi un nuovo mestiere. Quello di segretario del Pd rappresenta una valida alternativa, anche se i due ex sindaci diventati segretari (Walter Veltroni, sindaco di Roma, e Matteo Renzi, sindaco della sua Firenze) non è che ‘portano bbuono’, come esempi storici.
Nardella definisce Firenze “una città universale, una città in cui si vive immersi nell’arte e nella storia, meta e tappa di persone di tutto il mondo, in cui il rapporto costante con il bello forgia il modo di vivere e di pensare dei suoi abitanti”, recita la quarta di copertina, che continua così: “Proprio il ruolo di sindaco di Firenze, palcoscenico privilegiato, l’ha portato ad assumere responsabilità e funzioni a livello internazionale, a conoscere e studiare le città più importanti del nostro continente e a collaborare con i loro sindaci e amministratori. Sono state queste esperienze a confermare la sua convinzione che le città siano il presente e il futuro dell’Europa, luogo di incontro e scambio, relazioni e mediazione, inclusione e complessità. Dario Nardella, partendo da Firenze e dalla sua esperienza diretta per arrivare fino alle grandi città europee, delinea i contorni di un nuovo progetto politico che, auspicabilmente, ci porterà a un nuovo Umanesimo, in grado di fornire linfa fresca alla politica e alla società tracciando nuove strade per un futuro diverso e migliore”.
Anche Stefano Bonaccini ha scritto un libro… Gli altri candidati scrittori alla segreteria dem
Al netto della retorica, che qui viene profusa a piene mani, Nardella potrebbe rappresentare il competitor di Stefano Bonaccini al prossimo congresso. Il quale Bonaccini ha, a sua volta, scritto un libro: “Il Paese che vogliamo. Idee e proposte per l’Italia del futuro” (Piemme, appena 128 pagine, almeno lui, solo 19 euri).
E potrebbe essere lui, Nardella, il candidato del fronte degli anti-Bonaccini, annidati tra gli ex renziani di Base riformista, i Giovani turchi, i liberal e altri pezzettini di ex correnti (Delrio), che, oggettivamente, è il candidato più forte e più autorevole, a vincerlo, il prossimo congresso dem non foss’altro perché è sceso in campo, di fatto, per primo e non sembra essere impensierito dagli altri candidati che pure si sono già fatti avanti: l’ex ministra Paola De Micheli, che pure ha una sua rete, e il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, che già gira l’Italia con il format ‘Pane e politica’.
Ma la sinistra interna, davanti a Nardella, storce il naso, non è convinta, sbuffa, scalpita. Troppo ‘moderato’ e ‘riformista’ resta, il suo profilo. Troppo poco libero – e liberato – dalle scorie del renzismo, di cui Nardella era, fino all’altro ieri, un fedelissimo. Troppo ‘civico’ il suo profilo. E questo nonostante Nardella – come il buon, si fa per dire, Renzi, perfido come una serpe, ha pensato bene di rivelare a tutto il mondo – abbia litigato, e pure di brutto, con il suo ex dante causa. Un po’ per bagatelle tutte fiorentine (su aeroporto, tramvia, etc. ha contro Iv), un po’ per ragioni, appunto, tutte ‘politiche’ e ‘nazionali’. Ma anche se Nardella non è più in feeling con Renzi alla sinistra dem ‘non’ piace. Gira, tra gli altri, il nome di Anna Ascani, che ha la sua corrente (Energie democratiche) e, invece, appare tramontato quello della pasionaria della sinistra extra-Pd, la neo deputata Elly Schlein (non si ha notizia, ad oggi, di libri delle due…). Invece, sia Peppe Provenzano, neo deputato, che però dalla corsa alla segreteria s’è chiamato fuori, sia Andrea Orlando(organizzatore di una sua, personale, corrente, Dems) pure scrivono libri. Provenzano, giovane enfant prodige dell’ultimo decano, oggi scomparso, del migliorismo nel Pci, Emanuele Macaluso, ha dato alle stampe, ma nel 2019, “La sinistra e la scintilla. Idee per un riscatto” (Donzelli) e Orlando ha pubblicato “La sfida verde. Diritto al lavoro o alla salute?” (Feltrinelli, fresco fresco, uscito nel 2022). Due campioni – loro sì – della sinistra-sinistra dem. Ma uno dei due, presumibilmente Orlando, si lancerà, poi, nella prossima sfida congressuale?
Il ‘metodo Bettini’, un altro che ama scrivere…
E qui entra in gioco un altro grafomane, in quanto a dirigenti dem che amano scrivere libri, l’ideologo della sinistra dem e, ora, pure di Conte. Parliamo dell’ex dirigente del Pci-Pds-Ds-Pd Goffredo Bettini. Classe 1952, ex deputato, ex europarlamentare e, oggi, battitore libero, ma che accusa (Letta e non solo lui) di averlo ‘silenziato’ e ‘imbavagliato’ (Bettini credeva, fermamente, all’alleanza organica politico-elettorale con i 5s).
Bettini è una nota, vera potenza, dentro il Pd.
Padre putativo dei sindaci di Roma, che ha inventato, letteralmente, da Rutelli a Veltroni a Marino (era il famoso ‘modello Roma’, appunto, nel senso che li telecomandava a suo piacimento), ma anche ideatore del ‘modello Lazio’(Gasbarra in Provincia, poi Zingaretti, per due volte, in Regione sono state, appunto, le sue ‘invenzioni’) e ideatore pure del penultimo segretario del Pd (sempre Zingaretti, per quanto la sua segreteria sia stata, diciamo così, assai ‘sfortunata’), Bettini mantiene una salda presa sulla sinistra interna Pd e, già che c’è, da anni, pure su quella extra-Pd (i ‘cugini’ di Articolo 1 ex Mdp-LeU) e sui 5stelle.
Goffredone – una casa a Roma, piccola ma zeppa di libri, nel quartiere rosso di Testaccio, tanto che quando organizza i suoi compleanni gli tocca farli nella casa di periferia del suo autista, e una nella lontana Thailandia, suo buen retiro – ha deciso che proprio non era più l’ora di tacere. A onor del vero, non lo ha mai fatto: interviene – ogni più sospinto – con interviste, saggi, presentazioni di libri (altrui), ma ha pensato che era ora di scriverne uno, stavolta di suo pugno.
Domenica scorsa, dopo mesi di silenzio («sono stato zittito», ha detto e ce l’aveva più o meno direttamente con il segretario Enrico Letta, che dopo la rottura fra Pd e M5s non lo ha difeso, a suo dire, dagli attacchi dell’altro mezzo partito) ha anticipato, su Rai 3, nel programma di Lucia Annunziata, “In mezz’ora” – il senso e il filo del ‘ragionamendo’ del suo nuovo libro. Si intitola “A Sinistra. Da capo, edizioni PaperFirst (è la casa editrice del Fatto quotidiano di Travaglio), con postfazione dell’ex ministro Andrea Orlando, non a caso uno dei papabili candidati, ala sinistra, alla successione di Enrico Letta.
A ‘casa’ Bettini rinasce l’alleanza giallorossa
Curiosità, subito notata da una attenta cronista di cose di casa Pd, Daniela Preziosi, su Il Domani: “Bettini si è collegato alla trasmissione nel corso della sua festa di compleanno: come l’anno scorso, ha invitato i suoi ospiti a la Storta, periferia a nord della Capitale, sotto la pergola pasoliniana ma accogliente della casa del suo storico autista, Libero Bozzi. A differenza dell’anno scorso, per evitare pettegolezzi politici, gli invitati, che erano un centinaio, sono stati molti meno: un gruppo scelto di amici. «Veri», però: Conte, D’Alema, Veltroni, Gasbarra”.
Le ‘presentazioni’ del nuovo libro di Bettini sono “tutto un programma”: alleanza coi 5S
Ma torniamo al libro: si annunciano presentazioni col botto, e cioè destinate a entrare con i piedi nel piatto del congresso del Pd nella speranza di far risorgere la mai davvero defunta alleanza giallorossa. Ma sulla strada della resurrezione c’è il futuro termovalorizzatore di Roma.Conte chiede a Gualtieri di fermarlo (difficile che succeda) e fa capire che, in Lazio, l’alleanza con il Pd, alle prossime regionali, non ci sarà, dando un dispiacere, in prima persona, pure a Bettini. Comunque, Bettini, nonostante il freddo che si registra tra lui e il Nazareno, in questi mesi è rimasto il grande mediatore fra dem e il M5s (ma quello nazionale, in pratica l’ex premier).
Primo evento: venerdì 11 novembre a Roma, alle ore 18, e non in un posto qualsiasi, ma bensì all’Auditorium di Roma, luogo radical chic di concerti ed eventi. Con Conte, Andrea Orlando, il Grande Mediatore e Cerimoniere (dei Papi), Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio, nonché grande timoniere della manifestazione pacifista di sabato scorso Roma, e le direttrici Agnese Pini(Quotidiano nazionale) e Norma Rangeri (il manifesto) a fare le domande.
Secondo evento a Napoli, il 14 novembre. Con un altro parterre di spingitori di alleanze giallorosse: Dario Franceschini, tenutario di un’area di cattodem ancora viva e vegeta (Area dem), oltre che noto scrittore (ma di romanzi), l’ex premier Massimo D’Alema (altro amico di Conte), a sua volta noto per i suoi (molti) libri, e il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, altro fan dell’alleanza ‘organica’ tra Pd e 5s.
Qui di seguito, sempre grazie all’articolo di Daniela Preziosi, ecco un passaggio del saggio: «Il Pd e la sinistra sono stati spiantati. Non tanto dalle scelte dell’oggi, ma da una nostra claudicante storia passata. Non è l’ora neppure di discutere di alleanze. Stai con questo o stai con quello. Di cose rosse, rosso–verdi, mezze sciolte o liquide, infatuate da un possibile ritorno indietro ideologico e di chiusura. Le alleanze sono parte fondamentale di un progetto politico. Ma non aiutano a vedere dentro sé stessi. Nel profondo della crisi che si sta attraversando. È una nuova visione del mondo che dobbiamo comporre. Un rilancio della risposta di fondo al perché vogliamo restare in campo». Parole alate, come si vede, e assai pensose, domande prive – ad oggi – di risposte, che entrano in medias res, ma che ancora non fanno capire su chi (quali candidati) e come il ‘peso’ di Bettini si butterà, lievemente o a corpo morto, nella nuova contesa. Insomma, chi sarà, alla fine, il ‘suo’ candidato?
La domanda resta aperta. Certo è cheil congresso del Pd è partito ufficialmente con la lettera di Letta di «chiamata» ai nuovi potenziali iscritti. Ma il dibattito pubblico su cosa sarà la prossima «Cosa» – e con chi si alleerà – è già partito e il calcio d’avvio l’ha battuto lui, Bettini, già padre fondatore del Pd delle origini veltroniane.
Al netto dei libri, il congresso dem è iniziato… Ecco la lettera con cui Letta lo ha convocato.
Il 7 novembre, il Pd ha aperto la prima tappa del suo congresso, detto «congresso costituente del nuovo Pd». Data curiosa nota sempre la Preziosi: è l’anniversario della Rivoluzione sovietica (la Rivoluzione d’Ottobre cade di novembre, era il 25 ottobre del 1917 ma, secondo il calendario giuliano, in vigore nell’impero russo, era il 7, e i comunisti, veri, il 7 novembre la festeggiavano), ma al Nazareno nessuno se l’è ricordato. Niente di male, era ovvio del resto, pure coincidenze.
La segreteria (con Letta ancora alla guida) ha sfornato il testo da volantinare nei circoli. Non viene chiesta l’adesione «a scatola chiusa» al partito, ma a un processo di cui non si conosce «l’esito a priori» (Nanni Morettidirebbe, se ne avesse voglia, parole definitive, sul punto…).
La sostanza politica era stata già approvata (a maggioranza, cioè senza la condivisione di tutti) all’ultima Direzione. Il dispositivo diceva così: il congresso «sarà aperto agli iscritti del Partito Democratico, agli iscritti ai partiti, ai movimenti e alle associazioni che decideranno di aderirvi e ai cittadini che vorranno sottoscrivere l’appello alla partecipazione. I partecipanti saranno liberi di organizzare assemblee aperte nelle quali discutere di tutti i nodi politici essenziali. Per partecipare alla discussione non sarà dunque necessario essere iscritti al PD. I partecipanti alla fase costituente diventeranno iscritti al nuovo PD nel momento in cui voteranno sulle piattaforme politico-programmatiche dei candidati alla Segreteria (fatto salvo il versamento della quota di iscrizione)». Traduzione: anche chi non è iscritto al Pd potrà votare al… congresso del Pd (è una prima volta: logica vorrebbe che votassero solo gli iscritti Pd).
I partiti ‘fratelli’, per ora, rispondono ‘niet’…
Primi destinatari dell’appello sono gli alleati di Art.1, Demos e Psi, le tre formazioni che hanno mandato i propri candidati nelle liste del Pd–Italia democratica e progressista. Art.1 ha già risposto: parteciperà alle ‘fatiche’ congressuali. Sono pochi ma in una partecipazione non alta, così si pensa, peseranno eccome: e voteranno solo per candidati di ‘ultra-sinistra’, ovvio, cioè non per Bonaccini.
Il 14 novembre si terrà la direzione di Demos: affronterà il tema ma al momento la maggioranza dei componenti è orientata per il no. O, meglio: l’idea è quello di partecipare alla chiamata solo se il Pd permetterà loro di farlo come partito (sic, parliamo di poche decine, se va bene, di persone, che gravitano tutte alla comunità di Sant’Egidio), dall’inizio alla fine: insomma alleati sì, eventualmente federati, ma non sciolti nel Pd. È invece un no quello dell’alleato socialista, come anticipa Enzo Maraio,segretario del Psi, che punta a rifondare, invece, una ‘socialdemocrazia’.
Certo è che, per capire chi e se si candiderà al congresso del Pd, un metodo assai semplice c’è: consiste nel controllare, sulle varie piattaforme, se ha scritto, o sta per scrivere, un libro…