Ha perfettamente ragione il direttore di Atlantico Federico Punzi: “Il mondo liberal e progressista si scalda più per gli impiegati dell’’ufficio censura’ di Twitter licenziati da Musk che per donne e popolo iraniani che rischiano la vita contro il regime degli ayatollah. D’altra parte i diritti umani non hanno mai portato Twitter a bannare Khamenei”.
Attenzione, però. Non è in gioco solo una questione di principio, pur di capitale importanza, e cioè l’estensione della libertà di parola su uno dei canali social più importanti al mondo, per quanto astutamente Musk abbia puntato su questo aspetto nelle sue dichiarazioni pubbliche, affermando di pensare meno al profitto e più alla sua visione del ruolo che Twitter può giocare nella nostra società. Il punto è la possibilità di scardinare un mondo, un’impostazione a senso unico, un orientamento monoculturale.
Si tratta di guardare a un’evidenza sottolineata da Holman W. Jenkins sul «Wsj»: sia nel 2016 che nel 2020, le due ultime elezioni presidenziali americane sono state decise da meno di 70.000 voti in tre stati. E realisticamente le elezioni del 2024 saranno decise da un margine strettissimo. La presenza di Musk potrebbe cambiare molte cose: non solo non ci sarebbero più facili colpi di mano come quelli che portarono alla sospensione su Twitter (alla vigilia del voto del 2020) di una storia del «New York Post» sul famigerato laptop di Hunter Biden (figlio di Joe), ma sarebbe reso elettoralmente e culturalmente contendibile quello che i dem continuano a considerare un loro terreno esclusivo di caccia. Secondo un’analisi del Pew Research Center ripresa dal «Financial Times», gli utenti Twitter sono in media più giovani, più istruiti e più di sinistra del resto della popolazione, e tendono a essere opinion formers, cioè formatori dell’opinione altrui.
Per non dire dell’orientamento politico di chi ci lavora: un’impressionante tabella (fonte: Center for Responsive Politics) mostra le donazioni fatte dai dipendenti delle principali aziende a candidati politici: il 98,7% delle donazioni fatte da dipendenti di Twitter è andata ai democratici, come il 99,6% di quelli di Netflix, il 97,5% di quelli di Apple, e così via.
Intendiamoci bene: Musk non è un kamikaze pronto a immolarsi per nessuno. Lui ha sempre suddiviso in modo sostanzialmente equo le sue donazioni tra democratici e repubblicani. Ma già questo senso di equilibrio ha un che di rivoluzionario, vista l’aria che tira.