Messi da parte i tradizionali incontri diplomatici fra le cancellerie di mezzo mondo, il lascito forse più interessante dell’ultima assemblea generale delle Nazioni Unite, svoltasi a New York dal 23 al 26 settembre 2019, è probabilmente nel fortissimo impatto mediatico avuto dalla questione dei cambiamenti climatici. Una sfida divenuta oggi mainstream a prescindere dall’interesse o dalla capacità di affrontarla realmente esibite dai grandi leader internazionali, che al contrario appaiono legati ad agende politiche dai contenuti spiccatamente nazionali e spesso antitetiche, risultando dunque fatalmente incapaci di rispondere in maniera condivisa alle problematiche globali poste dai mutamenti del clima. Ciò non ha impedito, negli ultimi anni, la nascita di diversi movimenti di protesta e progetti ambientali volti in primo luogo a intaccare questa sorta di impasse.
Paradigmatico è ad esempio il caso di “Fridays for future”, un’iniziativa internazionale ispirata da un’adolescente svedese che ha prestato il proprio volto alla campagna mondiale prima di lanciarsi in uno scenografico appello/processo ai leader globali durante l’assemblea Onu dello scorso 23 settembre. “Fridays for future” nasce per chiedere un maggiore impegno dei decisori politici a favore dell’ambiente e sollecita la mobilitazione della società civile contro il cambiamento climatico. Coinvolge gruppi di giovani studenti in diversi Paesi del globo ed è diffusa anche in Italia, dove si è appena svolto il terzo sciopero studentesco del clima, cui i ministri di Ambiente ed Educazione del Conte II hanno ritenuto giusto non far mancare i propri paternalistici incoraggiamenti. Sul punto è bene rilevare che il prossimo 3 ottobre il Consiglio dei ministri dovrebbe licenziare il c.d. decreto clima, novello Green New Deal tricolore che si propone di dare il proprio contributo alla lotta contro i cambiamenti climatici e che in queste ore viene criticato per i suoi contenuti troppo poco incisivi. In attesa di scoprire visione e tipo di contributo della politica allo sviluppo “verde” dell’Italia, a giugno 2019 l’ultimo rapporto rilevava come in realtà il nostro Paese sia ormai da tempo in prima fila nell’adozione di stili di vita e di produzione sostenibili, grazie in primo luogo alla sensibilità di cittadini e realtà industriale. Il 17% dei consumi energetici è coperto da fonti rinnovabili, con un valore aggiunto delle c.d. ecoindustrie di 36 miliardi, pari al 2,3% del Pil, un calo del 50% nel consumo delle materie prime ed un settore, come l’efficienza energetica in edilizia, capace di sviluppare investimenti per 293 miliardi in 10 anni generando due milioni di posti di lavoro.
Alberto De Sanctis