Esteri
Usa-Cina: la visita di Pelosi a Taiwan e il nuovo asse Pechino-Mosca-Teheran
Di Giampiero Gramaglia
Quando, nella notte tra martedì e mercoledì, Nancy Pelosi è arrivata a Taiwan, divenendo il più alto rappresentante degli Stati Uniti sul suolo di Taiwan da 25 anni a questa parte, le relazioni tra Usa e Cina hanno toccato il punto più basso e di maggiore attrito, almeno dalla primavera del 2001 – allora, Pechino trattenne un aereo spia americano e il suo equipaggio dopo una collisione in volo letale con un caccia cinese e un atterraggio d’emergenza -.
Era già successo che uno speaker della Camera di Washington visitasse Taiwan: Newt Gingrich ci andò nel 1997, ma era l’esponente dell’opposizione repubblicana all’Amministrazione democratica di Bill Clinton.
Per tutta risposta, la Cina ha condotto esercitazioni militari senza precedenti in sei aree intorno all’isola Stato: numerosi missili sono stati sparati a nord-est e a sud-ovest di Taiwan, cinque sono caduti nelle acque di esclusiva competenza economica giapponese, suscitando le proteste di Tokyo. Le manovre simulano un blocco aereo e navale e hanno disturbato il traffico commerciale aereo e marittimo.
La tensione s’è impennata in tutta la Regione e alcuni analisti ritengono che un’invasione cinese sia uno scenario più plausibile ora. Pechino ha anche adottato misure commerciali ostili verso Taiwan, condizionando la produzione di micro-chips di cui l’isola è la maggior esportatrice mondiale. Anche le autorità taiwanesi temono un attacco cinese: Pechino considera, non del tutto a torto, l’isola parte del territorio cinese e non ha mai rinunciato alla sua annessione; Taipei pensa a rafforzare le proprie difese costiere ed a proteggersi da cyber-attacchi e campagne di disinformazione.
Il nuovo asse, secondo il New York Times
Secondo il New York Times, l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia, il rifiuto della Cina d’avere un ruolo di mediazione nella vicenda e il rifiuto della politica delle sanzioni stanno creando i presupposti per un nuovo asse anti-occidentale, completato dall’Iran, ma che, nell’ambito del G20, trova ij qualche misura spalle pure nell’India, nel SudAfrica, nel Brasile e in altri Paesi. Il termine richiama volutamente l’asse della Seconda Guerra Mondiale, Germania, Italia, Giappone.
Il giornale nota che il presidente russo Vladimir Putin ha compiuto solo tre viaggi fuori dalla Russia quest’anno: uno in Cina a febbraio, prima dell’invasione, e uno in Iran a luglio, a parte una ‘sortita’ in Paesi dell’Asia centrale satelliti dell’ex Urss. Russia, Cina e Iran hanno in comune una visione degli Usa come antagonisti.
Se il Mondo si sta davvero spaccando in due blocchi opposti, le democrazie contro le autocrazie, come dice Biden, Russia, Cina e Iran costituiscono il nucleo del blocco anti-Usa e stanno accentuando la loro collaborazione. Ma la definizione di Biden è fitta di contraddizioni, considerato che, nel blocco delle democrazie, figurano regimi come le monarchie del Golfo o l’Egitto.
Il nuovo asse desta qualche preoccupazione negli analisti statunitensi: se i tre Paesi sfidassero insieme gli Stati Uniti, Washington avrebbe problemi a rispondere in modo adeguato sui tre fronti. La Russia ha già invaso l’Ucraina, la Cina potrebbe attaccare Taiwan e l’Iran spingere avanti il suo programma nucleare, anche se a Vienna si sta negoziando la modifica e il ripristino dell’accordo anti-atomica iraniana concluso nel 2015 e denunciato nel 2017 da Donald Trump.
La visita di Pelosi a Taiwan, motivazioni e conseguenze
Le manovre e le altre reazioni cinesi hanno un intento punitivo e intimidatorio verso Taiwan, ma sono pure un monito agli Stati Uniti. Taipei ha accolto con grandi onori la speaker della Camera Usa, giunta a Taiwan nell’ambito di una missione in Asia e ripartitane, dopo una sosta di 12 ore, verso Corea del Sud e Giappone.
La visita di Pelosi, non incoraggiata dalla Casa Bianca né da Dipartimento di Stato e Pentagono, era stata preceduta, la settimana scorsa, da una telefonata tra i presidenti Xi Jinping e Joe Biden, durante la quale Xi aveva avvertito che il gesto, se ci fosse stato, avrebbe avuto conseguenze. C’è almeno da sperare che, nel loro colloquio, i due presidenti abbiano concordato di mantenere reazioni e contro-reazioni su un livello dimostrativo.
Nei colloqui a Taipei con la presidente Tsai Ing-wen e parlando al Congresso taiwanese, Pelosi ha detto e ripetuto di volere rendere “inequivocabilmente chiaro” che gli Usa non abbandoneranno mai l’isola di fronte alle pressioni e alle pretese cinesi. Biden a Xi aveva però ribadito che gli Usa, che non hanno formalmente rapporti diplomatici con Taiwan e non la riconoscono come Stato, restano fedeli alla politica di una sola Cina.
Il contesto delle relazioni sino-americane resta però turbolento: alla vigilia della missione di Pelosi, di per sé provocatoria per Pechino, il Senato di Washington, con un voto bipartisan, aveva varato finanziamenti per 280 miliardi di dollari per consentire all’industria manifatturiera e informatica americana di contrastare la concorrenza cinese. Sulla misura s’è coagulato un consenso rarissimo, nel Congresso fortemente polarizzato: tutti o quasi d’accordo per investire risorse federali nel più significativo intervento pubblico di politica industriale da decenni a questa parte.
Il tono della visita di Pelosi a Taiwan è stato celebrativo e l’accoglienza entusiastica, ma molti s’interrogano sull’opportunità e sull’eventuale valore aggiunto del gesto della speaker ultra-ottantenne, vicina al ‘passo dell’addio’ dalla sua posizione, anche se i democratici dovessero conservare la maggioranza alla Camera nel voto di midterm dell’8 novembre – un’eventualità tutt’altro che probabile, allo stato dei sondaggi attuali -. Il sostegno Usa alla democrazia taiwanese non è mai stato in discussione ed è stato più volte reiterato: non c’era bisogno d’uno show del genere, in un momento in cui il Pacifico è teatro di un confronto tra Usa e Cina giocato sull’influenza geo-politica e sulla forza militare, oltre che sull’economia e i commerci.
A Tokyo, la speaker ha auspicato che la Cina non isoli Taiwan, mentre la presidente Tsai denunciava “il cattivo vicino”. Ma per Pelosi è un po’ come piangere sul latte versato.
La tappa di Pelosi a Taiwan ha suscitato polemiche in patria e altrove: Mosca l’ha ovviamente criticata, mostrando solidarietà con Pechino. E l’Amministrazione Biden era consapevole che l’iniziativa della speaker poteva danneggiare le relazioni con la Cina, che ha vocalmente manifestato il proprio disappunto, ha convocato nel cuore della notte l’ambasciatore degli Usa e ha definito, tramite il ministro degli Esteri Wang Yi, l’intera vicenda “una completa farsa”, avvertendo che “chi gioca col fuoco muore”.